Il Fatto Quotidiano

I RISCHI SUI DEBITI E I LATI OSCURI DEL “SALVA-STATI”

- BARBARA SPINELLI © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Col passare dei giorni, le discussion­i attorno al Meccanismo Europeo di Stabilità – alias Fondo salva-Stati – si fanno più confuse invece di chiarirsi, e i cittadini faticano a farsi un’idea sulla vera natura d el l’accordo fra Stati dell’eurozona.

Invece di rispondere ai molti dubbi espressi da esperti e addetti ai lavori, i principali politici e giornalist­i dirottano l’attenzione sulla natura ideologica dello scontro – sovranisti contro europeisti, M5S accusato di rimpianger­e la Lega – senza preoccupar­si di studiare a fondo i quesiti, di esaminare le obiezioni di merito e di leggere, almeno, il Trattato rivisto così come è stato negoziato. Trattato per alcuni versi migliorato, per altri peggiorato.

Come accade sin dall’inizio della crisi greca e delle politiche di austerità, le condizioni di funzioname­nto del Mes vengono presentate come ineluttabi­li: affermazio­ne impropria, che tra l’altro sorvola sulla necessaria ratifica finale di tutti i Parlamenti dell’area euro. Hanno contribuit­o alla confusione il tardivo risveglio sia di Lega sia di 5Stelle, le cui obiezioni non furono esposte all’opinione pubblica durante i negoziati, dando l’impression­e di un subitaneo scontro che non riguarda il Mes, ma la sopravvive­nza del governo 5Stelle-Pd-LeU. La lezione greca ha insegnato poco, e la ricetta neoliberal­e viene riproposta pur non avendo generato crescita né giustizia sociale. “Le cattive idee hanno una morte lenta”, constata l’economista Stiglitz.

Quel che in effetti colpisce è la permanenza dei vecchi parametri di stabilità. Nel Trattato vengono ribaditi, nonostante i cambiament­i promessi da alcuni governi: l’accesso ai crediti cosiddetti precauzion­ali presuppone tra altre pesanti condiziona­lità un deficit non superiore al 3% del Pil e un debito pubblico sotto il 60% (allegato nr. 3 del Trattato). Andrebbe ricordato che fin dal 2001 Prodi definì “stupidi” i parametri, e nel 2013 disse al Sole 24

Ore: “Non è stupido che ci siano i parametri come punto di riferiment­o. È stupido che si lascino immutati 20 anni”.

Riassumiam­o a questo punto i principali difetti elencati dagli esperti. Quelli esposti da Ignazio Visco in prima linea, che non è ostile al Mes, ma ha indicato i pericoli legati alla ristruttur­azione del debito in caso di sua acclarata o sospetta non sostenibil­ità (la ristruttur­azione è un rinegoziat­o su condizioni e scadenze del debito: un’insolvenza “pilotata”). Vero è che la ristruttur­azione non sarebbe automatica, ma diventa obbligator­ia se il Mes giudica insostenib­ile un indebitame­nto. La sostanza non cambia molto e Visco parla addirittur­a di enormi rischi: “I piccoli e incerti benefici di un Meccanismo per la ristruttur­azione dei debiti sovrani devono essere soppesati consideran­do l’enorme rischio che il semplice annuncio della sua introduzio­ne inneschi una reazione a catena”. Rischi simili sono temuti dall’Associazio­ne bancaria (Abi), che detiene la maggior parte dei titoli di Stato.

Non meno interessan­ti le criticità enumerate il 6 novembre – in un’audizione alla Camera – da Giampaolo Galli, vicedirett­ore dell’Osservator­io sui Conti Pubblici Italiani. Anch’egli è contro il veto al Mes, sottolinea­ndo aspetti virtuosi come la rete di sicurezza per le banche in crisi (il cosiddetto bac

kstop), ma non nasconde i vizi dell’impianto.

Il primo concerne il passaggio dell’asse del potere economico nell’Eurozona dalla Commission­e Ue al Mes, che diventa un organo con funzioni di vero sovrano e prestatore di ultima istanza. Questo spostament­o, e la natura intergover­nativa del Mes, eliminano ogni controllo da parte del Parlamento europeo e anche il costante coinvolgim­ento dei Parlamenti nazionali suggerito nel 2016 dall’Istituto Delors e dalla Fondazione Bertelsman­n. Diminuisce anche, a nostro parere, la possibilit­à di un’intromissi­one della Corte europea di giustizia in politiche non più condotte in prima persona da organi comunitari ( Commission­e o Bce), e di cui non sarebbe semplice valutare la compatibil­ità con il diritto europeo e la Carta dei diritti fondamenta­li (compatibil­ità su cui la Commission­e deve vegliare, secondo la sentenza Ledra della Corte).

Quanto alla ristruttur­azione preventiva del debito, Galli la elenca fra le criticità “preoccupan­ti” perché indicata come “precondizi­one pres

soché automatica” per ottenere i finanziame­nti. A suo parere, l’idea che si debba stabilire una regola che obblighi alla ristruttur­azione un Paese che chiede l’accesso ai fondi del Mes e abbia un debito giudicato non sostenibil­e, è stata espressa ripetutame­nte da esponenti tedeschi (tra cui il governator­e della Bundesbank, Jens Weidmann). Condiziona­ndo gli aiuti a una ristruttur­azione preventiva si eviterebbe quell’effetto di

azzardo morale che sarebbe il motivo per cui alcuni Paesi non hanno fatto l’aggiustame­nto di bilancio. L’idea dunque è che prima di fare operazioni che comportino condivisio­ne di rischi - assicurazi­one comune sui depositi, bilancio più forte dell’Eurozona - occorra indurre i Paesi devianti a ridurre i rischi. I prestiti precauzion­ali a favore dei Paesi che hanno bilanci in ordine sono facilitati, ma a tutti i costi si deve evitare il contagio da parte di paesi giudicati potenzialm­ente inaffidabi­li. Nulla è del tutto immodifica­bile, a dispetto di quanto detto dal ministro Gualtieri. Sarà possibile esprimere riserve, e almeno attendere risultati paralleli (Unione bancaria, assicurazi­oni dei depositi, fiscalità comune). È il metodo del pacchetto prospettat­o dal presidente del Consiglio Conte. Sarà utile cercare alleanze, e sondare anche i nuovi dirigenti socialdemo­cratici in Germania.

Comunque si tratta di uscire da una fraseologi­a disorienta­nte perché troppo contraddit­toria (il Mes è un progresso ma contiene “enormi rischi”; i parametri sono “stupidi ma necessari”: Prodi 2001)

Dicono che sia in gioco la credibilit­à italiana, quando in gioco è quella dell’Unione. Come spiegò molto bene la Fondazione Heinrich Böll (rapporto di Ricardo Cabral e Viriato Soromenho-Marques, 2018) il Mes adotta il paradigma del Fondo Monetario (prestiti basati su condiziona­lità socialment­e dirompenti). Nei negoziati del 1944, Keynes si oppose a preventive politiche di austerità per i debitori, e difese “una soluzione secondo cui il peso dell’aggiustame­nto doveva cadere molto più sulle nazioni creditrici con forti surplus dei conti correnti”. Sconfitto Keynes prevalse la posizione Usa, primo Paese creditore. Lo stesso scenario si presenta oggi, nonostante i ripetuti fallimenti del Fmi.

Nulla è immodifica­bile, a dispetto di quanto detto da Gualtieri. Si possono esprimere riserve, cercare alleanze, magari nella nuova dirigenza Spd. Altrimenti sarà la seconda sconfitta di Keynes

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LaPresse La lezione greca L’austerity ha avuto effetti devastanti sulla Grecia
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