Blocca-prescrizione: alt Pd alla legge di FI e pure alla Bonafede
I dem non bloccano la riforma Bonafede. Lo scontro è solo posticipato
“Abbiamo
mandato ancora una volta la palla in tribuna”. Il capogruppo Pd in Commissione Giustizia alla Camera, Alfredo Bazoli, commenta così la decisione del Pd di votare contro la proposta di esaminare con urgenza la legge Costa per abrogare la cancellazione della prescrizione in primo grado, che entra in vigore il primo gennaio 2020. Perché i dem sul tema non vogliono (ancora) rompere, ma non possono mollare. Richiesta respinta con 269 no, 245 sì e 2 astenuti. Ma nel pomeriggio, Nicola Zingaretti annuncia che il Pd presenterà una proposta di legge se non si trova un accordo politico sui tempi dei processi. La mediazione su cui il Pd sta lavorando è introdurre un termine indipendente dalla prescrizione (al secondo grado di giudizio). Bonafede per ora è stato irremovibile. E in serata Di Maio ci va giù pesantissimo: “Se il Pd vuole presentare una proposta, significa che la vuole votare con Salvini e Berlusconi”.
A proposito di divisioni.
QUELL Ache va in scena ieri nell’Aula di
Montecitorio, dunque, è la perfetta rappresentazione di una maggioranza divisa, ma nella quale nessuno ha voglia di sferrare il colpo finale. Prima del voto in Aula, vari esponenti del Pd e di Italia Viva, e persino qualcuno dei Cinque Stelle, vanno da Costa a chiedergli se è disponibile a ritirare la sua richiesta d’urgenza, in cambio della calendarizzazione entro dicembre della proposta di legge. Il deputato forzista dice sì. Ma poi arriva una telefonata del Guardasigilli: “Si deve vot ar e ”. Il Pd dice no, guadagnandosi gli anatemi dello stesso Costa (“resa disonorevole”), Iv non partecipa.
I DEM, prima, fanno un’assemblea a Montecitorio. Tutti contro la posizione di Bonafede. Qualcuno ( dalla Bruno Bossio a Del Basso De Caro) è pronto anche a dire sì all’urgenza. Alla fine, il Pd è compatto, ma il problema è solo rimandato. Nel frattempo, i capigruppo di Iv vanno da Conte a esprimergli i loro dubbi e le loro preoccupazioni sulle fibrillazioni degli alleati. Incontro richiesto dopo la scelta di non partecipare al vertice notturno di domenica sul Mes. Obiettivo: chiarire che i problemi della maggioranza non dipendono da loro. Ma poi la scelta di non votare sulla proposta Costa è obbligata: troppo alto il rischio di mandare sotto il governo, con i loro 23 voti. Renzi, in questi giorni, si contorce in un dilemma: meglio fare di tutto per evitare elezioni che lo vedrebbero più ridimensionato di quello che già è o puntare a capitalizzare il (poco) che ha e condizionare il più possibile la (eventuale) coalizione di centrosinistra? A
Senza pace
Il segretario evoca una nuova legge sui tempi dei processi M5S: “Se la vota con B. e la Lega”
favore della seconda opzione, gioca il fatto che votare prima che entri in vigore il taglio dei parlamentari potrebbe consentirgli di averne una truppa più nutrita nella prossima legislatura e che con il Rosatellum potrebbe provare a chiedere collegi e posti sicuri. Senza trascurare l’elemento caratteriale: per lui, una corsa elettorale è sempre preferibile all’attesa.
DA REGISTRARE, ieri, anche l’asse Di Maio-Di Battista. Il ministro degli Esteri chiede di nuovo “m i g l i or a m e n t i” sul Mes. Una pressione che rimarca le distanze da Conte. Di Battista fa un post Fb in suo appoggio. Che accade se si salda un fronte pro voto nel Movimento? In realtà è proprio la fragilità dei Cinque Stelle a essere attenzionata da Pd e renziani. Ci si aspetta che siano loro a far saltare il banco, magari cedendo alle lusinghe di Matteo Salvini. Quando? Dopo la legge di Bilancio, presumibilmente dopo l’Emilia-Romagna. A meno di incidenti, però.
Quel che è certo è che è partito il cosiddetto “gioco del cerino”: nessuno crede che questa legislatura possa arrivare a scadenza naturale, nessuno vuole intestarsi la responsabilità di interromperla. “Sono con Conte sul Mes e sulla prescrizione”, chiarisce Di Maio in serata. Tutto secondo copione.