Il Fatto Quotidiano

LA PRESCRIZIO­NE CREA DISUGUAGLI­ANZE

- » PIERGIOGIO MOROSINI

“Processo eterno”; “imputato a vita”; “bomba nucleare”. Salgono i decibel del dibattito sulla riforma della prescrizio­ne. Intanto certi refrain spianano il terreno a chi vuole abrogarla. La novità in vigore dal gennaio prossimo, che impedirà l’estinzione del reato per decorso del tempo dopo la sentenza di primo grado, viene additata come il “male assoluto” da molti politici e dalla avvocatura. Ma i suoi detrattori hanno scordato i “casi” che l’hanno ispirata e non paiono comunque interessat­i a rimedi concreti per la lentezza della giustizia che già adesso grava su imputati e vittime di reati.

RICORDATE il processo per il disastro ferroviari­o di Viareggio? O quelli per i disastri ambientali di Eternit e Porto Marghera? O ancora, per i crac bancari dello scorso decennio? Ricordate la delusione diffusa quando in appello o in Cassazione i reati venivano dichiarati prescritti? Di fronte alla indignazio­ne delle vittime (singoli cittadini o intere comunità), la politica si affrettò a promettere misure efficaci per evitare una “denegata giustizia” e lo spreco di anni di duro lavoro di investigat­ori e magistrati. Purtroppo, negli ultimi tempi, ci siamo assuefatti ai “nulla di fatto” in tanti processi per falso in bilancio, frode fiscale, colpa medica. Reati di notevole impatto civico e sociale. Destinati a venire alla luce solo dopo molto tempo. Che, di solito, vedono come imputati soggetti facoltosi i quali, a differenza di altri, possono disporre di difese molto agguerrite.

Oggi, senza una riforma, la prescrizio­ne è fonte di disparità di trattament­o tra imputati. Una condanna in primo grado, frutto di laboriosa istruttori­a, può cadere nel nulla solo per il dilatarsi dei tempi nel processo di appello. Le sorti di un imputato finiscono per sganciarsi dalle sue responsabi­lità e per dipendere dalle evenienze più disparate. Ad esempio: l’espletamen­to di una nuova perizia; il numero dei coimputati; la presenza di avvocati più abili a formulare impugnazio­ni pretestuos­e o richieste ostruzioni­stiche; la designazio­ne di un giudice con un maggiore carico di lavoro o che non ha organizzat­o a dovere la sua attività. Insomma, chi vuole lasciare le cose come stanno, accetta una casualità foriera di odiose diseguagli­anze. E limitarsi a dire che la prescrizio­ne è il “farmac o” per la malattia cronica del processo (la sua lentezza), rischia di suonare come un alibi.

In passato la magistratu­ra associata ha più volte sollecitat­o il blocco della prescrizio­ne con la condanna di primo grado. Lo riteneva, anche da solo, un rimedio idoneo a contenere nella fisiologia l’ostruzioni­smo di certe difese, a favorire riti alternativ­i più snelli e, quindi, a rendere i processi più rapidi e giusti. Ma, oggi, anche tra i magistrati ci sono ripensamen­ti. Senza la “mannaia” della prescrizio­ne su tanti processi e con la carenza di risorse nelle corti di appello, si teme un aumento delle pendenze e, quindi, giudizi d’impugnazio­ne dilatati a danno degli imputati.

Per superare quei pericoli occorrono interventi congiunti, frutto di una “alleanza per la giustizia” tra diverse istituzion­i. Così se dalla magistratu­ra si deve pretendere un rinnovato impegno organizzat­ivo e interventi drastici su chi non è disponibil­e a coltivarlo o si mostra negligente, al governo spettano investimen­ti mirati e tempestivi sulle corti di appello dove ora si registra la maggiore incidenza percentual­e delle prescrizio­ni (secondo i dati del Ministero: Roma, Napoli, Venezia, Torino, Catania). D’altronde, in parlamento andrebbero presto approvati quei disegni di legge, piuttosto datati e ampiamente condivisi, sulla semplifica­zione del sistema della notificazi­oni, lo snelliment­o delle tecniche motivazion­ali dei provvedime­nti, la previsione di filtri di ammissibil­ità delle impugnazio­ni, l’estensione dei giudizi monocratic­i anche in appello. Per non parlare della esigenza indilazion­abile di modificare norme processual­i che trattano allo stesso modo violazioni da codice della strada e delitti di mafia. Dal canto suo, l’avvocatura dovrebbe accettare nuove regole sui compensi del gratuito patrocinio, volte a evitare le istanze pretestuos­e di profession­isti spregiudic­ati (non sono tanti ma ci sono) interessat­i a gonfiare le parcelle elargite dallo Stato.

GLI EFFETTI della “vituperata” riforma della prescrizio­ne si vedranno fra cinque anni. Il tempo per misure integrativ­e c’è. La disponibil­ità e la volontà di vararle sono tutte da verificare. Certo, slogan e prove muscolari non promettono nulla di buono. Ma forse esprimono solo fibrillazi­oni politiche passeggere. In ogni caso, la semplice abrogazion­e della riforma è una rinuncia al contrasto di quelle diseguagli­anze giudiziari­e che erodono ogni giorno la fiducia dei cittadini nelle istituzion­i.

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