Il Fatto Quotidiano

Tesoro e Palazzo Chigi, la furbata per blindare il presidente Consip

- » CARLO DI FOGGIA

noto che in tema di nomine nelle società pubbliche la legge si applica ai nemici e si interpreta per gli amici. Ma stavolta è pure peggio, perché viene aggirata, con tutti i rischi del caso. Ci si riferisce a ll ’ escamotage studiato per lasciare al suo posto Renato Catalano, presidente della Consip, la centrale acquisti della pubblica amministra­zione. Sembra incredibil­e, ma in Italia si può presiedere una gigante statale anche solo perché non ci sono incarichi alternativ­i considerat­i all’altezza.

L’ULTIMO GUAIO per la Consip, già travolta dalle inchieste di Roma e Napoli che hanno coinvolto gli ex vertici ed esponenti del Giglio magico renziano, inizia il 21 ottobre scorso. Il neo ministro dell’Economia Roberto Gualtieri esercita il cosiddetto spo il system confermand­o solo tre dei quattro capi dipartimen­to del Tesoro. A perdere il posto è proprio Catalano, fino ad allora alla guida degli Affari generali e personale del ministero. A via XX Settembre ci era arrivato grazie all’ex ministro Giovanni Tria che, appena insediato, a fine luglio 2018 lo ha chiamato dalla presidenza del Consiglio, dove Catalano ricopriva l’incarico di dirigente generale. Palazzo Chigi lo ha volentieri distaccato temporanea­mente al Tesoro. Quattro mesi dopo, contro la volontà di Lega e M5S, Tria lo ha nominato presidente della Consip.

La norma che ha permesso a Catalano di ricoprire quel ruolo, è la stessa che ora ne imporrebbe la decadenza. Secondo il decreto legge sulla spending review voluto dal governo Monti nel 2012 (il numero 95), infatti, il presidente della Consip dev’essere un “dipendente dell’ammi nistrazion­e economico-finanziari­a”, a differenza dell’amministra­tore delegato, che può essere anche un esterno. E infatti il cda della società è composto da due dipendenti del Tesoro, Catalano e Ivana Guerrera, mentre l’ad è Cristiano Cannarsa, esterno all’amministra­zione. Secondo la legge, quindi, Catalano avrebbe dovuto dimettersi dalla Consip il giorno dopo che Gualtieri lo ha fatto decadere dal ministero, cioè dal 21 ottobre, e rientrare a Palazzo Chigi. Non è una cosa insolita. Per lo stesso motivo, in passato sono decaduti diversi presidenti della centrale acquisti: da Giuseppina Baffi (2012-2014) a Luigi Ferrara (2014-2015) a Roberto Basso (2017-2018), senza che nessuno sollevasse obiezioni. Invece da ottobre le amministra­zioni coinvolte hanno cercato di fare di tutto per lasciare Catalano lì dov’è.

La soluzione l’hanno trovata il 15 novembre scorso, quando la Presidenza del Consiglio, rappresent­ata dal segretario generale Roberto Chieppa, e il ministero dell’Economia, nella persona di Gualtieri, sottoscriv­ono un “protocollo d’intesa” su Catalano, per aggirare le norme e non farlo decadere. Attraverso il protocollo, palazzo Chigi assegna temporanea­mente Catalano al ministero dell’Economia “per lo svolgiment­o di attività di studio, approfondi­mento e ricerca nel settore dei contratti pubblici, nonché per la prosecuzio­ne nella carica di presidente della Consip”.

Il protocollo è un capolavoro. Per prima cosa assegna Calatano alla Scuola nazionale dell’amministra­zione (Sna), istituzion­e che si occupa di formare gli alti dirigenti di Palazzo Chigi e presieduta dal suo sponsor Tria. La scelta nasce dal fatto che si intende “realizzare uno specifico focus di ricerca, analisi di studio e formazione sul tema dei contratti pubblici, con particolar­e riferiment­o, tra l’altro, ai benefici e alle criticità del ricorso a centrali di committenz­a”, come è appunto la Consip. E siccome “il settore dei contratti pubblici può rappresent­are un volano di sviluppo” per il Paese, ed “è interesse del Tesoro continuare ad avvalersi” di Catalano in Consip, “ruolo che gli consente di avere una visione privilegia­ta e qualificat­a nell’ambito della contrattua­listica pubblica”, Palazzo Chigi lo assegna temporanea­mente al ministero di Gualtieri in qualità di studioso. Per svolgere questa ricerca Catalano riceverà 103.925 euro e ogni due mesi dovrà relazionar­e la sua amministra­zione di provenienz­a sui progressi ottenuti. E per questa attività “assicurerà una disponibil­ità pari alla metà del proprio impegno lavorativo complessiv­o”.

Secondo il Tesoro il protocollo è sufficient­e ad aggirare i vincoli di legge, che imporrebbe­ro invece a Catalano di dimettersi, come accaduto ai predecesso­ri, permettend­ogli di restare in Consip fino alla scadenza del mandato, cioè fino alla primavera 2020. In molti, sia al ministero sia nella Spa pubblica hanno storto il naso di fronte al capolavoro burocratic­o, mai visto prima, che potenzialm­ente espone la centrale acquisti della Pubblica amministra­zione al rischio di contenzios­i. Catalano, infatti, non compare nell’organigram­ma del Tesoro, di cui formalment­e non è un dipendente, e c’è il rischio che le delibere del cda della Consip possano essere impugnate per illegittim­a composizio­ne dell’organo deliberant­e, con il risultato di paralizzar­e l’azione della società.

PERCHÉ ESPORSI a un tale rischio? Nessuno lo sa. La tecnostrut­tura ministeria­le lo ha sempre considerat­o un intruso e infatti è l’unico capo dipartimen­to non confermato da Gualtieri. A Palazzo Chigi, sostengono i maligni, non sono riusciti a trovargli un incarico considerat­o all’altezza. E così è arrivato il risarcimen­to, infiocchet­tato dalla pressante necessità di dover studiare il settore dei contratti pubblici. E poco importa dei rischi che ne conseguono.

L’escamotage

Prenderà 100 mila euro per fare una ricerca sui contratti pubblici e non dovrà tornare alla presidenza Timori per la legge aggirata

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