Il Fatto Quotidiano

L’economia può essere né di destra né di sinistra?

- » MARCO PONTI

MARCO PONTI, classe 1941, è professore ordinario (in pensione) di Economia e pianificaz­ione dei trasporti. Si occupa di aspetti normativi, politiche, valutazion­e e pianificaz­ione urbana riferita al settore dei trasporti. L’ex ministro Danilo Toninelli gli aveva affidato il compito di valutare costi e benefici delle grandi opere in Italia, tra le quali la linea Torino-Lione

di destra né di sinistra è uno degli slogan caratteriz­zanti del pensiero economico di base del M5S. Certo non più incisivo delle “5 stelle” originarie, che erano: acqua pubblica, ambiente, mobilità sostenibil­e, sviluppo econnettiv­ità, di cui pochi ormai si ricordano. Ma su cosa voglia dire lo slogan “né di destra né di sinistra”, che invece oggi è ben presente, occorre una riflession­e.

Rimanendo nella dimensione economica, in prima ipotesi immaginiam­o che voglia dire che non si prende posizione sulla ridistribu­zione del reddito (la sinistra è a favore, la destra molto meno). Ma questo è impossibil­e: ogni azione politica in ambito economico (tasse e spese) è orientata in una delle due direzioni. Questa, in una situazione di crescente concentraz­ione della ricchezza, si può però ritenere una posizione “conservatr­ice”, forse anche di più di alcune posizioni liberali.

I 5S NON SEMBRANOes­sere, di conseguenz­a, né promercato né pro- Stato. Attualment­e tuttavia sembrano molto anti-mercato, e anche Trump e Salvini lo sono, come da sempre però lo sono anche i partiti di sinistra vera. E il mercato e la concorrenz­a sono oggi particolar­mente impopolari in occidente, dato il peso della competizio­ne da parte dei grandi paesi emergenti, che con la concorrenz­a sono usciti dalla povertà estrema, ma hanno impoverito in alcuni casi classi lavoratric­i e classi medie dei paesi sviluppati, con la conseguent­e crescita “re a tt iv a ” di posizioni sovraniste e protezioni­ste (per inciso, oggi si incomincia ad assaggiare il buon sapore del protezioni­smo quando arrivano i dazi di Trump sui prodotti italiani).

Certo i 5S sembrano avere nel loro Dna qualche tradizione no-global (vedi Di Battista). Sono pro-Europa, ma solo recentissi­mamente, con il voto per la Von der Leyen. E si dimostrano anche tiepidi nel rispettarn­e i vincoli. Infatti sono fieramente anti-tasse ma anche anti-tagli, cioè in favore di incrementi di spesa pubblica, soprattutt­o in consumi (reddito di cittadinan­za e quota 100). Si può essere dubbiosi su questa strategia, dato il debito italiano e il calo degli investimen­ti, ma non sul fatto che crei consenso immediato.

Sul ruolo economico dei migranti, sono per i porti chiusi. Adesso sembra abbiano ammorbidit­o questa posizione, ma non fino ad approvare lo “ius soli” o lo “ius culturae” (certo nessuna forza politica italiana sembra in grado oggi di esprimere una strategia di integrazio­ne credibile, alla tedesca, per intenderci).

Sulle Grandi Opere hanno dato il peggio di sè: prima estremo rigore, “n e ss un o spreco sarà ammesso”. Poi liberi tutti e tutto, fiumi di soldi a piaggia senza fiatare, esattament­e come i nuovi alleati del Pd. Avevano cambiato idea anche prima, quando hanno visto in che direzione andava il consenso elettorale. Ma invano, non erano più “spendaccio­ni credibili”.

Il grido “onestà, onestà” non è stato scalfito da vicende giudiziari­e, ma non si può dimenticar­e che oggi una forma rilevantis­sima di corruzione è legale, ed è costituita dallo scambio di voti con soldi (dei contribuen­ti), senza andare tanto per il sottile nel controllar­e se quei soldi sono spesi bene o buttati dalla finestra. Basta che aumentino il consenso, qui e adesso.

Allora forse possiamo tradurre lo slogan “né di destra né di sinistra” con un termine meno benevolo: opportunis­mo di breve periodo. Forse un po’ ce ne è stato anche nella politica delle alleanze.

La democrazia è anche questo, per carità. È uno dei prezzi da pagare a questo sistema inefficien­te, ma di cui tutti gli altri sono peggio.

Il problema è la programmat­ica mancanza di una strategia economica di lungo termine. E in Italia probabilme­nte una qualche strategia serve, visto la gravità dei problemi che abbiamo di fronte (debito e mancata crescita, strettamen­te connessi).

La drammatica perdita di consenso da quando sono al governo sembrerebb­e però evidenziar­e che l’assenza di una strategia economica sia oggi un problema serio. La Lega solo in apparenza manca di una strategia credibile: guadagna consensi sia al governo che all’opposizion­e, promettend­o tutto a tutti, con una totale mancanza di scrupoli nei confronti di rischi di uscita dall’eu ro . Scrupoli che invece i 5S sembrano oggi manifestar­e, con un cambio di rotta che li allontana dal sovranismo, ma che è letto forse da molti loro elettori come manifestaz­ione di una debolezza acquisita, piuttosto che del fatto che questo cambio di rotta sia sensato.

Chi è

FORSE l’assenza di una strategia può essere connessa all’obiettivo originario di democrazia diretta, che nega visioni e progetti strategici decisi da una qualche forma di mediazione degli interessi contrappos­ti. Mediazioni che non a torto sono viste, marxianame­nte, come sempre funzionali al capitalism­o. Si veda anche il loro originario antiparlam­entarismo (la “scatola di tonno”, che ricorda un po’ “l’aula sorda e grigia” definita molti anni fa da un altro signore antiparlam­entare).

Il problema è che le inefficien­ze e le oscillazio­ni connesse con questo “atomismo democratic­o” (l’“uno vale uno”) possono generare tanti e tali problemi che a un certo punto un “mediatore” arriva, e può essere poco simpatico e poco democratic­o. Forse l’abbiamo già in vista. E può esser stato percepito come una soluzione anche da una parte degli elettori 5S.

L’effetto

Senza una strategia di lungo termine è difficile affrontare i tanti problemi italiani

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La dittatura dei dati Brittany Kaiser 429 20e HarperColl­ins

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