SALOMON, I COLORI E IL LAGER
Un’autobiografia d’artista
Sopravvive all’epidemia di famiglia – quella dei morti suicidi –, ma non alla furia nazista: Charlotte Salomon viene ammazzata nel campo di concentramento di Auschwitz a soli tre giorni dal suo ingresso. Ha 26 anni, è sposata da una dozzina di settimane e incinta di cinque mesi. “Dunque è questa la vita”.
Grazie a Castelvecchi esce ora finalmente in Italia Vita? O teatro?, un’autobiografia che ha la raffinatezza del libro d’arte e il respiro del romanzo illustrato, e infatti è stata paragonata a un proto-graphic novel, con tavole pittoriche che si inseriscono nel solco dell’espressionismo tedesco, più echi di Munch, dei Fauves e di altre disgraziate avanguardie del 900.
NATA A BERLINO nel 1917 e morta nel lager nel 1943, Charlotte è l’ultima studentessa ebrea dell’Accademia di Belle arti di Berlino: a causa delle sue radici fatica a entrarci, e l’insegnante di disegno continua a bacchettarla perché “sbaglia sempre il numero delle foglie del cactus”. Nel 1938 – dopo la notte dei cristalli – fugge in Costa Azzurra, vicino a Nizza, dai nonni materni, proprio quel ramo della famiglia infettato dal virus della depressione e dell’autolesionismo, che, per ultima, uccide la nonna, “chiamata a portare la sofferenza del mondo, il dolore del destino”. È così che la nipote scopre la lunga catena di suicidi, dalla madre alla zia (di cui porta il nome), al fratello della nonna. Eppure, proprio in Francia, la giovane si riscatta da un destino segnato e sceglie la vita, anche grazie all’amore.
Suo grande amore – grande perché non corrisposto – è ( n el l’autofiction) Amadeus Daberlohn, anch’egli artista, ma già fidanzato e con un debole per la matrigna di Charlotte, Paula, seconda moglie del patriarca Albert Salomon. “Amandeus” è l’unico, però, a credere nel talento artistico dell’acerba pittrice, donandole “la forza e il coraggio di divenire vivente”: è il suo Orfeo, che la guida nella creazione. E per fortuna lei non è Euridice; perciò si salva dall’ennesima, autoinflitta morte.
Vita? O teatro? viene alla luce negli anni febbricitanti dal 1940 al 1942, in cui Salomon – rifugiata all’estero – dipinge oltre mille tempere con i soli tre colori primari e il bianco; alla fine, selezionerà 781 tavole per comporre, insieme a fogli dattiloscritti, il “romanzo della sua vita”: Un Singspiel, letteralmente una “recita cant at a ”, un’operetta comica “composta di un preludio, una parte principale e un epilogo”. Comica, sì, di una levità e ironia commoventi.
L’autobiografia copre gli anni dal 1913 al 1940, cioè da prima della nascita alla solitudine francese, quando Charlotte rimane col nonno “reso insensibile dalle tragedie... È il destino di questa famiglia. Sono tutti così innaturali”. I nomi di parenti e amanti sono storpiati nel libro, ma facilmente identificabili: in primis, la matrigna nonché cantante lirica “Paulinka”, che soffia alla ragazza il succitato spasimante Amadeus, ma le salva il padre dal lager grazie alle conoscenze nei salotti del potere berlinese. Nel 1933 è l’inizio della fine: “Qui si può osservare come questo colpisse diverse anime, al tempo stesso umane ed ebraiche... Ne ho abbastanza di questa epoca”. Eppure, persino il nazismo – persino il “signor Hitler” – è trasfigurato dal tocco lirico, innamorato e incantato di Salomon, che nella sua incoscienza si ribella e salva una prima volta dal campo di prigionia col nonno ottantenne.
QUASI UN ROMANZO Finalmente edita in Italia la “recita” di tempere e parole di Charlotte, ultima studentessa ebrea dell’Accademia di Berlino
IRREQUIETA, malata di “malinconia cosmica”, Charlotte ha un talento versatile e vulcanico, che spazia dalla pittura alla musica, dalla letteratura al teatro; crede che la “vita più vera” sia quella della finzione e dell’arte, perciò nell’autobiografia si concede parecchie licenze poetiche: “Ho imparato a percorrere ogni strada e ne sono diventata una anche io”.
Non solo la vita di Charlotte, ma anche il ritrovamento delle sue opere è rocambolesco: custodite dal medico di famiglia, il dottor Moridis, vengono poi consegnate a Ottilie Moore, l’americana che offre ospitalità ai Salomon in Francia e che restituisce i materiali al padre Albert e alla seconda moglie Paula nel 1947. I due, nel frattempo, erano anch’essi scappati dalla Germania e rifugiati ad Amsterdam: lì un certo Otto Frank, loro amico, è il primo a suggerire di donare le tele e gli scritti di Charlotte a un editore o a un museo. Così ha appena fatto lui con il libro della figlia,
Il diario di Anna Frank, ma i Salomon non sono persuasi e conserveranno il malloppo ancora per molto tempo, dentro a cinque scatole di lino rosso. Nel 1959 il lascito è affidato al Rijksmuseum e poi nel 1971 allo Joods Historisch Museum; dopodiché una serie di mostre, film, documentari, biografie farà conoscere e riscoprire al mondo il nome della giovane artista berlinese.
“Un po’ d’amore, qualche legge, una ragazza, un lettone. Dopo tante sofferenze, dopo tante morti, è la vita ed è bene”: l’opera di Salomon è una benedizione, un inno alla gioia, un inno alla vita. O al teatro. O all’arte. Nonostante tutto.