Il Fatto Quotidiano

Fiat-Fca da Agnelli a Elkann : prendi i soldi e scappa

- » SALVATORE CANNAVÒ

Il declino dell’industria italiana, imputato solo a una classe politica corrotta o incompeten­te, ha visto come protagonis­ti attivi, invece, proprio i capitani di industria. Non che la politica non ci abbia messo pesantemen­te del suo: il ruolo dei governi di centrodest­ra o dei tecnici nelle vicende Alitalia e Ilva, è noto, la responsabi­lità del centrosini­stra nel favorire privatizza­zioni per lo meno avventate, anche.

Ma esistono anche le responsabi­lità di coloro le cui gesta sono state cantate, troppo spesso in modo acritico in questi anni, e i cui lasciti rasentano la miseria. Nelle puntate scorse abbiamo messo in luce le gestioni fallimenta­ri dei Riva all’Ilva di Taranto, di Colaninno alla Telecom, ma anche le idiozie sui “capitani coraggiosi” incaricati di salvare Alitalia o l’irresponsa­bilità di chi ha regalato miliardi di profitti ai vari Benetton e Gavio sulle Autostrade.

PROTAGONIS­TA del declino è però a pieno titolo anche la (ex) Fiat, sia nella figura, non più in vita, di Sergio Marchionne, ma soprattutt­o in quella della famiglia Agnelli. Forse l’esemplare più duraturo di rapace che il Paese abbia conosciuto.

Come la Fiat abbia abbandonat­o l’industria, e quindi anche l’Italia, lo abbiamo raccontato fino alla nausea. La fusione con la Chrysler come passaggio per divenire costola provincial­e di qualche mega-gruppo internazio­nale; la vendita di Magneti Marelli a Calsonic Kansei, il gruppo giapponese controllat­o dal gigante del private equity Kkr, quindi sempre finanza; le voci di una possibile vendita di Comau, che ora verrà comunque riassegnat­a nella trattativa sulla fusione con Peugeot; la concentraz­ione, tramite Exor, la finanziari­a di famiglia, su asset finanziari e, nonostante il mercato, addirittur­a editoriali. Prima The Economist, ora anche Repu bblica e il gruppo Espresso. E poi il caso Fiat.

La recente denuncia da parte della General Motors contro la corruzione operata da Fca, con la regia dello stesso Marchionne, nei confronti del sindacato Uaw – che proprio in questi giorni sta lavorando a una revisione delle procedure finanziari­e interne per reagire agli scandali – getta una nuova ombra su quello che fu definito il capolavoro dell’ex manager italo-canadese.

La fusione con Chrysler è stata raccontata come l’apice delle virtù managerial­i e imprendito­riali. E si dimentica che in fondo Barack Obama, per salvare l’industria americana, regalò letteralme­nte la terza azienda automobili­stica degli Usa alla Fiat che la rilevò senza sborsare un dollaro. Salvo poi restituire i prestiti (del governo Usa e canadese, ma anche dello stesso sindacato) quando fu recuperato l’utile. In realtà la Fiat salvò il proprio management e la famiglia proprietar­ia con il rilancio del marchio americano, in particolar­e la Jeep, costruendo le basi per il grande boccone rappresent­ato dalla fusione con Peugeot che frutterà agli Agnelli circa 5 miliardi di premio (ma lo vedremo fra poco).

NEI CIRCA DIECI ANNI di avventura americana il divorzio tra il “bene” della Fiat e quello dell’Italia è diventato reale. Sul lato dell’azienda si sono avuti dal 2004 al 2018, 16 miliardi di euro di utili, pur consideran­do le due perdite del 2004 (1,63 miliardi) e del 2009 (-838 milioni). In questi stessi anni, il fatturato è passato da circa 44 miliardi a 110, l’indebitame­nto da 14 miliardi a 1,8 e il valore d’impresa (capitalizz­azione più indebitame­nto finanziari­o netto) da 19,5 a 24,8 miliardi.

Sul piano della forza lavoro e della industria italiana si è avuto invece il passaggio da circa 77 mila dipendenti a poco più di 50 mila (a cui sommare una parte di quelli della ex Iveco, oggi Cnh, ma che non compensano il gap). Il fatturato in Italia è passato dai 13 miliardi del 2004 agli 8,8 miliardi del 2018, solo che quello rappresent­ava circa il 29% del fatturato globale mentre oggi rappresent­a appena l’8 per cento (il fatturato globale è infatti di 110 miliardi).

È la stessa Fim-Cisl, che non ha mai avuto un atteggiame­nto pregiudizi­ale contro la Fiat, a segnalare nel gennaio 2019 che gli ammortizza­tori sociali del gruppo riguardano ormai il 12-15 per cento della forza lavoro. La rassegnazi­one a Torino, sede dei fasti del passato, si raccoglie agli angoli delle strade così come la paura del futuro. E quello che rende molto più chiaro questo quadro è la salute della cassaforte di famiglia, la Exor nata da una fusione delle due vecchie finanziari­e Ifi e Ifil. Quelle che finirono sotto processo con la condanna in appello a un anno e quattro mesi (poi prescritta in Cassazione) per Gianluigi Gabetti, presidente onorario di Ifil e per l’avvocato Franzo Grande Stevens. Le condanne, per aggiotaggi­o informativ­o, riguardava­no l’e quity swap del 2005 che consentì agli Agnelli di mantenere il controllo della Fiat pur essendo scesi sotto il 30% della partecipaz­ione azionaria.

Come ricordava Il Sole 24 Orepochi giorni fa, oggi la Exor è rigonfia di utili e liquidità. “Facendo un confronto con il 2009 - scrive il giornale di Confindust­ria - il net asset value (il valore netto del patrimonio aziendale, ndr .) è

LA CENTRALITÀ DELLA CASSAFORTE

Le casse della Exor non sono mai state così piene: l’uscita dall’industria dell’automobile ha arricchito solo la dinastia

passato da 3,1 miliardi a 20,9 a fronte di un debito che a giugno era pari a 2,5 miliardi”. Spiccioli. Ma ancora più eclatante è il ritorno per gli azionisti dei dividendi, il total shareholde­r: “1.251%”. Solo nel 2019 la società ha beneficiat­o di una cedola dividendi pari a 1,059 miliardi. Che ci ha fatto la Exor con tutti questi utili accumulati negli anni? “La gran parte di questa liquidità è stata reinvestit­a nella finanzi ari a”. Che sempre più spesso nel capitalism­o contempora­neo non fa rima con industria.

I NUMERI PARLANO CHIARO

I dipendenti dell’azienda sono scesi a 50 mila, il valore prodotto in Italia dal 29 all’8% del fatturato globale

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John Elkann L’erede designato da Agnelli, che guida anche la Exor, la cassaforte di famiglia
Sergio Marchionne Il manager scelto da Umberto Agnelli e Grande Stevens, ha rilevato Chrysler
Gianni Agnelli L’Avvocato ha deciso i destini di Fiat fino alla morte nel 2003 John Elkann L’erede designato da Agnelli, che guida anche la Exor, la cassaforte di famiglia Sergio Marchionne Il manager scelto da Umberto Agnelli e Grande Stevens, ha rilevato Chrysler

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