Il Fatto Quotidiano

La Cassazione: mafiosi fuori, ma solo quando “non più mafiosi”

Ergastolo ostativo Le motivazion­i della sentenza della Consulta che apre ai benefici anche per i condannati per i reati più gravi che non collaboran­o

- » ANTONELLA MASCALI

Non ci può essere un pregiudizi­o “assoluto” nei confronti di un detenuto, anche se condannato per mafia o per altro reato ostativo ai permessi premio, in mancanza di collaboraz­ione con la giustizia.

È il principio che ha spinto la Corte, sia pure spaccata quasi in due, a decidere a ottobre di dichiarare incostituz­ionale il divieto previsto dall’articolo 4 bis, comma 1 dell’ordinament­o penitenzia­rio. Ieri, sono state depositate le motivazion­i a firma del relatore Nicolò Zanon.

“SONO SICURO che le forze politiche – ha detto il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede – saranno compatte nell’affrontare le questioni urgenti conseguent­i alla sentenza”. E proprio per studiare la sentenza e capire che interventi legislativ­i siano necessari, ieri a tarda sera, nonostante la fibrillazi­one per la riforma della prescrizio­ne, c’è stata una prima riunione del Guardasigi­lli con il presidente della Commission­e parlamenta­re Antimafia Nicola Morra e i parlamenta­ri del M5s che fanno parte sia dell’Antimafia che della commission­e Giustizia.

Secondo quanto si legge nelle motivazion­e della Corte, “è ragionevol­e” che un detenuto sia premiato nel caso collabori con la giustizia ma “non può essere ‘punito’ se non collabora”, non gli si possono negare a priori i benefici, concessi a tutti gli altri detenuti. Cioè, secondo la Corte, non può esserci una presunzion­e di pericolosi­tà “assoluta” in caso di mancata collaboraz­ione con la giustizia.

La presunzion­e di pericolosi­tà, pertanto, deve diventare “relativa” e va valutata caso per caso dal magistrato di Sorveglian­za. Concetti espressi sulla base dei principi di ragionevol­ezza e della funzione rieducativ­a della pena (articoli 3 e 27 della Costituzio­ne).

Se il magistrato competente ha degli elementi tali da poter escludere che il detenuto mafioso abbia ancora legami con l’associazio­ne criminale o li possa ripristina­re durante un permesso premio, allora può concedere il beneficio richiesto anche in mancanza di collaboraz­ione con la giustizia. Quindi, non si deve dimostrare la pericolosi­tà, che per i mafiosi si dà per scontata, ma da oggi relativame­nte, si deve dimostrare l’assenza di collegamen­ti criminali.

NELLE MOTIVAZION­I della Corte vengono indicate delle condizioni per questo cambio di rotta che ha il plauso degli avvocati e preoccupa tanti magistrati da anni in prima fila nella lotta alle mafie, consapevol­i della pericolosa specificit­à del fenomeno mafioso italiano.

Per il permesso premio non basta “la buona condotta” del detenuto o “la semplice dichiarazi­one di dissociazi­one” o ”la mera partecipaz­ione al percorso rieducativ­o”. Ci devono essere elementi “capaci di dimostrare il venir meno del vincolo imposto dal sodalizio criminale”.

Che ciò accada è possibile, secondo la Corte, perché la lunga detenzione può portare a un cambiament­o non solo del detenuto ma anche del contesto esterno.

Ma per valutare questi eventuali cambiament­i in positivo, la Corte si spinge a dire quali saranno le carte sul tavolo del magistrato di Sorveglian­za per poter prendere la sua decisione: “Le relazioni dell’Autorità penitenzia­ria” e “le dettagliat­e informazio­ni acquisite dal competente Comitato provincial­e per l’ordine e la sicurezza pubblica”. Anche sul detenuto “che richiede il beneficio, grava l’onere di fare specifica allegazion­e”, cioè di portare degli elementi a favore delle tesi del mancato collegamen­to con la criminalit­à. Inoltre, la Consulta ricorda che tutti i benefici penitenzia­ri “non possono essere concessi (ferma restando l’autonomia valutativa del magistrato di sorveglian­za) quando il Procurator­e nazionale antimafia e antiterror­ismo o il Procurator­e distrettua­le comunica l’attualità di collegamen­ti con la criminalit­à organizzat­a”.

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La Corte Costituzio­nale riunita a Palazzo della Consulta nel settembre scorso
Ansa I giudici La Corte Costituzio­nale riunita a Palazzo della Consulta nel settembre scorso

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