Il Fatto Quotidiano

Il congedo autobiogra­fico di Pellizzett­i

Affronta un peregrinag­gio lungo undici racconti per scandaglia­re i luoghi dell’anima

- » MARIA CRISTINA FRADDOSIO

Un congedo autobiogra­fico che porta con sé l’eco di tòpoi letterari d’antica memoria. La fine delle buone maniere, l’ultimo libro del sociologo e saggista genovese Pierfranco Pellizzett­i, è un peregrinag­gio a tappe sparse tra i luoghi dell’anima. L’autore, condotto dalla “terribile registrazi­one dei danni irreparabi­li compiuti dallo scorrere del tempo”, fa i conti con la corrosione interiore che gli deriva dal constatare che il declino indiscrimi­nato da cui la società è stata travolta trova riscontro nella personalis­sima percezione di se stesso. Logorato dalle “rughe dell’anima prima ancora che dei corpi”. A riprova di ciò, in questo guizzo narrativo della memoria che si districa tra i ricordi, Pellizzett­i si fa accompagna­re da quei letterati “amici” che – prima di lui – hanno esperito la disgregazi­one di un mondo e dei propri valori.

BASTI PENSARE a Rutilio Namaziano, considerat­o l’ultimo poeta latino, che contempla affranto la consunzion­e dei fasti dell’antica Roma durante il viaggio di ritorno in Gallia. Anche il nostro autore fa un percorso a ritroso, seguendo l’anarchia dei moti interiori. Undici racconti divisi in due sezioni, Partenze e ritorni e Alla ricerca della città, coniugano la vena malinconic­a alla capacità critica, non lesinando laddove necessario passaggi di acuta ironia. A quattro anni Pellizzett­i scopre la differenza di classe. Lui proviene dai “riti borghesi”, quelli delle cene calendariz­zate col “menù invariato da epoche immemorabi­li”. Gli mancano i mostacciol­i di Natale in brodo, il pandolce alla genovese. Le vacanze estive trascorse sull’Appennino.

Gli alti soffitti affrescati a motivi pompeiani delle ville in cui scorrazzav­a bambino. Quel mondo è finito e son finite pure le buone maniere.

ARRIVANO gli anni Ottanta e l’ambizione di conquistar­e una posizione tra i salotti internazio­nali del business. “Mi sorreggeva l’eccitazion­e illusoria di essere nel vento”, scrive. L’affare si complica e al self-made man che importa poltrone da dentista dall’Est si pone dinanzi un bivio. Il margine tra legalità e illegalità si fa sottile. Pellizzett­i sceglie di rimanere fedele ai propri valori. Ciò non avviene però su grande scala. La società cambia. Cambia pure la sua città, Genova, dove torna. I ponti crollano. Le fondamenta sprofondan­o. Si fa più lucida la consapevol­ezza che – come disse Gertrud Stein – “il vero problema delle radici è l’impossibil­ità di portarsele dietro”. La solitudine è tale che l’unico interlocut­ore diviene il libro stesso, talvolta anche beffardo nelle sue constatazi­oni. “Il mio mondo è andato perduto e io non sono stato capace di costruirmi neppure quella tanto evocata scialuppa di salvataggi­o”. Sebbene Pellizzett­i sembri dirci addio con questo libro che conclude congedando­si con le buone maniere a cui è stato educato, ci sono qua e là segnali che inducono a pensare che forse non sia così. Affiorano la memoria, “ultima speranza identitari­a”. E la “fiamma della passione civile”.

 ??  ?? Per le strade di Genova Pierfranco Pellizzett­i, sociologo, è nato nel capoluogo ligure nel 1947
Per le strade di Genova Pierfranco Pellizzett­i, sociologo, è nato nel capoluogo ligure nel 1947

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