Gioco d’azzardo, sigle omonime per aggirare il divieto di spot
Scommesse L’ Autorità perle comunicazioni chiede chiarimenti a Bwin e William Hill che sono tornati a fare pubblicità anche in tv
Un anno e mezzo fa il governo, allora dai colori gialloverdi e su spinta dei gialli cioè i Cinque Stelle, s’è illuso di eliminare la pubblicità sulle scommesse con un articolo di poche righe e sette commi nel cosiddetto decreto legge “dignità”. Chi macina miliardi di euro con l’azzardo non s’è rassegnato dinanzi a una legge farcita di buone intenzioni e di fragilità giuridiche, ma s’è inventato trucchi per aggirare i divieti.
LE MULTINAZIONALI Bwin e William Hill, per esempio, riescono a raggiungere gli italiani con un semplice stratagemma che non è sfuggito all’Autorità di garanzia per le Comunicazioni, più conosciuta con la sigla Agcom, delegata a controllare e poi a sanzionare. La coppia Bwin e William Hill ha lanciato una sezione di notizie – si dilettano con l’informazione – con lo stesso logo che richiama al marchio da sempre legato alle scommesse, così finiscono sui cartelloni ai bordi del campo, perfetti per gli spettatori allo stadio, ripresi dalle telecamere per i tifosi da casa e addirittura sono tornati in televisione durante l’intervallo delle partite di calcio. Chi digita nei motori di ricerca su Internet la scritta “Bwin sport”, che ha letto allo stadio o allo schermo, viene indirizzato al sito con le quote per scommettere. Come prima, più di prima: perché ora la legge lo impedisce.
Adesso l’Agcom ha avviato un preliminare di istruttoria che consiste in lettere di “richiamo” agli operatori Bwin e William Hill per ottenere una spiegazione e, semmai, una correzione degli spot. Il governo ha coinvolto l’Agcom nella feroce battaglia contro la promozione dell’azzardo, però l’Agcom non ha una struttura adatta a sorvegliare 50.000 tabaccai, centinaia di eventi sportivi, una quantità infinita di portali specializzati, decine di aziende, soprattutto straniere, che di certo non patiscono l’influenza politica italiana. Bwin fa parte del gruppo Gvc Holdings, quartiere generale all’Isola di Man, 3 miliardi di euro di fatturato, 5 miliardi di valore alla Borsa di Londra. Anche William Hill è inglese, più antica e più “piccina” con 1,6 miliardi di euro nel 2018. Quanto siano spaventate dalle lettere di “richiamo” dell’Agcom è irrilevante, non serve neanche scommetterci.
I commissari dell’Autorità possono pure multare le società furbette, che poi penalizzano l’intera categoria che invece si attiene alle regole, e fissare un prezzo da 50.000 euro in su, ma chi lo dice, e come lo dice, che Bwin non possa divulgare la sua nuova attività “giornalistica” se la legge tace sul punto in questione? E poi perché i commissari guidati da Angelo Cardani, con il mandato terminato a metà luglio e in oziosa proroga da mesi per colpa della politica, devono infilarsi in un contenzioso a tempo più che scaduto?
NEPPURE L’AGCOM, però, è priva di responsabilità oggettive, le “linee guida” per illustrare le norme un po’raffazzonate sono arrivate in aprile e non spiccano per severità, anzi. Dopo un incomprensibile periodo di maturazione in chissà quali cassetti, soltanto il 14 luglio 2019 l’Autorità si è decisa – con il voto contrario di Antonio Nicita e Francesco Posteraro e favorevole di Antonio Martusciello e Mario Morcellini – a inviare al governo una segnalazione per chiedere una riforma di una legge licenziata il 12 luglio 2018. Questo coacervo di strafalcioni, esitazioni e interessi non aiuta a contrastare la ludopatia, che poi era l’intenzione dei Cinque Stelle. Per anni il connubio tra sport ( pallone), media e scommesse ha foraggiato un sistema che ha paura di implodere, come recita il paragrafo 4.3 del documento che Cardani, sostenuto da Morcellini e Martusciello, ha spedito a Palazzo Chigi. S’intitola “l’impatto del divieto” agli spot: 100 milioni di euro in meno per le televisioni; 100 per la Serie A; 40,8 per l’editoria. Un articolo di poche righe, sette commi e l’Agcom confusa non bastano.
Pasticci normativi L’Agcom scaduta da luglio prova a stanare i trucchi delle multinazionali che lanciano “sezioni di news”