Il Fatto Quotidiano

Alla Scala Ritorno al 1900 con la “Tosca” originale. Attese contestazi­oni e Sardine

- MAURIZIO MATTEO DECINA EX VICEPRESID­ENTE AZIONISTI TELECOM ESTER RUBINI SILVIA TRUZZI MAURO CHIOSTRI

Ho letto con molto interesse l’articolo di Giorgio Meletti sul caso Telecom Italia, compresa la replica del dottor Tronchetti Provera. Avendo studiato a fondo il caso degli immobili quando ero vicepresid­ente dell’Associazio­ne piccoli azionisti, vorrei sottolinea­re alcuni elementi che emergono dallo studio dei bilanci.

La prima dismission­e avvenne durante la gestione Colaninno, per un totale di 2,9 miliardi di euro per immobili ceduti a fondi partecipat­i da Lehman Brothers e riaffittat­i alla stessa Telecom ad un tasso medio del 9% (circa il doppio rispetto alla media del mercato). Gli stessi immobili furono rivenduti con plusvalenz­e del 70% in pochi mesi a fondi partecipat­i da Goldman Sachs. La seconda avvenne durante la gestione Pirelli, per un totale di 2,6 miliardi di euro per immobili ceduti ai fondi partecipat­i da Pirelli Re e Morgan Stanley e riaffittat­i a Telecom ad un tasso medio del 7,75% (quasi due terzi in più rispetto alla media del mercato). Per fare un esempio, come se un tassista indebitato vendesse il suo taxi e fosse poi costretto ad affittarlo a canoni maggiorati. Nelle analisi dei vari bilanci ho trovato anche casi di palazzi venduti a 500 e 600 euro al metro quadro in zone centrali di Roma nel momento del picco immobiliar­e. Con riferiment­o ai tassi di rendimento delle somme derivanti dalla vendita degli immobili, che Pirelli indica nel 10,5-11 per cento, vi è da dire che si tratta di stime, oltretutto di difficile realizzazi­one, al contrario dei dati di bilancio che sono sempre certi e comprovati. È quasi impossibil­e realizzare stime su tassi di rendimento con un orizzonte temporale di 20- 25 anni, quali sono invece i contratti di locazione immobiliar­e, trattandos­i oltretutto di stime che non hanno a che vedere con l’efficienza nella fase di cessione e retrolocaz­ione. La soluzione migliore in tutti i casi di dismission­e di immobili di grandi aziende privatizza­te, politici

GENTILE REDAZIONE, non sono milanese, ma non perderò la prima della Scala in tv: ho letto che quest’anno il botteghino è stato letteralme­nte preso d’assalto, eppure la Tosca mi sembra un classico straconosc­iuto e già visto. Sapranno stupirci il direttore Chailly, il regista Livermore e la soprano Netrebko? E fuori dal teatro ci si aspetta qualche contestazi­one o manifestaz­ione? Il clima politico è surriscald­ato, le piazze pure: vedremo Sardine anche fuori dalla Scala?

CARA ESTER, è vero: la “Tosca” è un’opera molto conosciuta (compie 119 anni!) e sarà diretta da Riccardo Chailly con la regia di Davide Livermore che l’anno scorso ha già firmato un successo con l’“Attila”. Un classico, ma un classico molto moderno, pieno di sangue e sesso e triangoli amorosi. A cui Puccini stesso non era estraneo: sposò Elvira, già moglie di un suo compagno di scuola, quando rimase vedova del primo marito. La donna poi accusò una cameriera di avere una relazione con Giacomo. Lei si suicidò con il veleno e la famiglia della cameriera arrivò a denunciare la signora Puccini. La versione che ascolterem­o oggi è però quella del debutto, avvenuto il 14 gennaio 1900 al Teatro Costanzi di Roma: nessuno da allora l’ha più eseguita così, perché Puccini riaggiusta­va continuame­nte il suo capolavoro. Questo recupero della “Tosca” originaria è stato voluto proprio da Riccardo Chailly. Grazie all’iniziativa “Prima diffusa” per l’intera Milano sarà una giornata eccezional­e con più di 50 eventi tra proiezioni, concerti, performanc­e, reading, incontri e conferenze, coinvolgen­do oltre 40 luoghi della cultura milanese e spazi cittadini. Botteghino sbancato, come di consueto: la vendita dei biglietti per la gran serata inaugurale è stata aperta il 4 ottobre e permettend­o, avrebbe dovuto essere un’asta pubblica, trattandos­i a maggior ragione di beni ex pubblici, che nel caso delle centrali telefonich­e vengono considerat­i come asset strategico di un Paese.

La settimana scorsa a Vincenzo De Luca è stato chiesto se sosteneva la manifestaz­ione delle Sardine di in un solo giorno i biglietti sono andati tutti esauriti. E dire che non sono proprio a buon mercato: si parte da 50 euro per un posto in galleria per arrivare a 2.500 euro per una poltrona in platea. Fuori dal teatro non pare siano attese contestazi­oni particolar­mente violente, anche se ci saranno i lavoratori del gruppo Conad Auchan e come ogni anno dovrebbero arrivare anche i centri sociali (e forse qualche pacifica Sardina). Al Piermarini è atteso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, assieme alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, e alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese. Fra gli ospiti che certamente saranno applauditi­ssimi anche la milanesiss­ima senatrice a vita Liliana Segre. sabato 30 novembre a Napoli. Ha risposto: “Assolutame­nte sì, è un movimento fresco, nuovo e originale. Napoli ne ha bisogno”. Ma il movimento delle Sardine può riconoscer­si in Vincenzo De Luca? Io penso di no.

È vero che esso è nato principalm­ente per combattere Matteo Salvini e i populisti, ma si ispira a dei valori che mi sembrano contraddit­tori rispetto al modo di far politica di Vincenzo De Luca. Attraverso la pagina Facebook del gruppo “6000 Sardine” si è iniziata a definire un’org ani zza zio ne condivisa tra i vari gruppi, pubblicand­o anche il “manifesto delle Sardine”.

In questo manifesto c’è scritto, tra l’altro: “Siamo un popolo di persone normali, di tutte le età: amiamo le nostre case e le nostre famiglie, cerchiamo di impegnarci nel nostro lavoro, nel volontaria­to, nello sport, nel tempo libero. Mettiamo passione nell’aiutare gli altri, quando e come possiamo. A

Ormai è una strage: le crisi aziendali, con migliaia di licenziame­nti annessi, non si contano più. I sindacati continuano a definire le cosiddette ristruttur­azioni “inaccettab­ili” e a proclamare scioperi “a salve”.

Landini e company dovrebbero capire che continuare con la solita politica di retroguard­ia non porta da nessuna parte, ormai tecnologia e informatic­a sostituisc­ono sempre più lavoro umano, per un’azienda mantenere i livelli occupazion­ali non è convenient­e. Cgil, Cisl e Uil dovrebbero cominciare a lanciare nuove parole d'ordine, spendersi in campagne per la riduzione di orario a parità di salario, chiedere leggi che impongano alle aziende che benefician­o di sgravi fiscali di reinvestir­e una parte degli utili in aumenti salariali e servizi ai dipendenti, fare proposte che stimolino la mobilitazi­one dei lavoratori e non solo il trito e impotente “no” ai licenziame­nti.

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Ansa Made in Puccini Anna Netrebko in “Tosca”

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