AD ALITALIA ORA SERVE UN VIVISEZIONISTA
Il nuovo decreto legge per Alitalia del 2 dicembre ha confermato l’ulteriore prestito statale di 400 milioni, già incluso nel Decreto fiscale, ma lo ha svincolato dalla condizione dell’offerta d’acquisto che avrebbe dovuto presentare l’eterogenea cordata, ormai dissolta, assemblata dalle Ferrovie e da Mediobanca. In cambio del finanziamento, il decreto chiede all’organo commissariale di elaborare “un piano avente a oggetto le iniziative e gli interventi di riorganizzazione ed efficientamento aziendali” funzionali tuttavia al tempestivo “trasferimento dei complessi aziendali”.
Cosa vuol dire tutto questo e cosa cambia rispetto al percorso seguito nei due anni e mezzo trascorsi senza conseguire risultato alcuno? Nella realtà non cambia assolutamente nulla rispetto alla rotta sbagliata dettata a maggio 2017 dal ministro Calenda e sinora mai corretta da chi gli è succeduto. Il mandato di allora era quello di vendere al più presto, senza neppure metter mano ai conti, peraltro del tutto sconosciuti all’epoca e anche dopo, né provvedere al riordino della gestione aziendale, per il quale sarebbero stati peraltro necessari manager aeronautici e non commercialisti o manager telefonici. Una mission impossible, dato che in quelle condizioni, rimaste sinora invariate, Alitalia era invendibile. Al più si poteva pensare a una donazione d’organi del paziente in stato terminale.
A maggio 2017 vi erano tre strade apparenti per le scelte pubbliche: vendere Alitalia, chiudere Alitalia o risanare Alitalia. La prima era impraticabile, la seconda molto costosa, dato che già il drastico ridimensionamento aziendale del 2008 aveva comportato secondo un noto studio di Mediobanca ben 4 miliardi di oneri pubblici, in pratica il valore di un’intera nuova flotta di lungo raggio. Dunque l’unica scelta razionale era risanare, ma essa non è stata chiesta né fatta in oltre 30 mesi di amministrazione straordinaria. E ciò che è non è stato fatto in 30 mesi si può ora fare in soli sei, come chiede in apparenza il nuovo decreto? Bisognerebbe nominare Mago Merlino come nuovo commissario unico. Escludendo che egli sia disponibile, restano due sole ipotesi ulteriori: o il nuovo decreto rappresenta un clamoroso caso d’ingenuità oppure il termine ‘riorganizzazione’ deve essere letto come ‘spezzatino’ e il termine ‘ trasferimento dei complessi aziendali’come ‘donazione d’organi’, in favore ovviamente di qualche soggetto sul quale essi possano essere innestati con beneficio per il medesimo. In questa ipotesi ad Alitalia non servono più né manager aeronautici né soggetti dotati di magici poteri, basta un chirurgo vivisezionista.
TUTTA questa operazione comporta peraltro costi monetari per le casse pubbliche, e dunque per il contribuente, elevatissimi. Infatti i nuovi 400 milioni vanno ad aggiungersi ai 600 concessi a maggio del 2017 e ai 300 milioni aggiunti nell’a u tu nn o dello stesso anno, per un totale di 1,3 miliardi. A essi dovremmo tuttavia correttamente aggiungere ulteriori 200 milioni abbondanti di interessi sinora maturati sui prestiti e mai pagati dai commissari e almeno 160 milioni oneri di cassa integrazione, per un impegno finanziario pubblico complessivo che sfiora ormai 1,7 miliardi. Cosa è stato ottenuto in cambio di tutti questi soldi? Assolutamente nulla dato che Alitalia nei due anni e mezzo di gestione commissariale non è stata venduta, non è stata risanata e neppure chiusa.
Accanto al danno non possiamo dimenticare la beffa, il fatto che sia stato fatto credere all’opinione pubblica che vi potesse essere una cordata di salvatori della compagnia patria, i quali con un impegno finanziario pari a solo la metà di quello pubblico prima ricordato avrebbero compiuto il miracolo del rilancio, quasi fossero dei novelli ‘capitani coraggiosi’. Così ci hanno raccontato per lunghi mesi dei sei personaggi in cerca di vettore: le FS, il Mef, Delta, l’advisor Mediobanca, il socio principale Atlantia da essa individuato e la prudente Lufthansa. Ma erano davvero in cerca di vettore oppure Alitalia era solo un comodo taxi verso altri obiettivi? FS è stata incaricata dal precedente governo di coordinare l’iniziativa e il fine ovvio sembra essere quello di uscirne nel modo migliore possibile e con l’impatto minore possibile sui suoi conti; il Mef può solo puntare a recuperare una parte limitata dei soldi erogati; Delta mette un epsilondi capitali e un abbondante set di vincoli e paletti a difesa della sua posizione dominante sulle rotte nordatlantiche; Lufthansa ha interesse a portare più passeggeri italiani nei suoi hub poco più a nord delle Alpi; Atlantia con Alitalia paga semplicemente un pedaggio per essere riammessa nella buona società dei titolari di ricche concessioni pubbliche. A chi è potuto venire in mente di aprirle le porte per un simile impresentabile scopo?