Il Fatto Quotidiano

Quando le notizie false e tendenzios­e diventano reato

- » GIOVANNI VALENTINI

“Il nuovo ‘dispotismo democratic­o’ è riuscito a imporsi nel nostro Paese collocando­si oltre l’orizzonte politico in senso stretto, avviando una dissoluzio­ne della politica e delle sue istituzion­i; e ha ottenuto, proprio per questa via, il consenso di larga parte del Paese”

(da La democrazia dispotica di Michele Ciliberto – Laterza, 2011 – pag. XII)

Èun paradosso, un’ironia o una nemesi della storia, il fatto che oggi i leader della destra sovranista italiana, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni, si ritrovino spesso a violare una norma del Codice Rocco, introdotto nel 1930 dal Guardasigi­lli del governo Mussolini. E cioè l’articolo 656 del Codice penale, tuttora in vigore, che punisce il reato di “pubblicazi­one o diffusione di notizie false, esagerate o tendenzios­e, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico”, con l’arresto fino a tre mesi o un’ammenda fino a 309 euro. Delle due, l’una: o Salvini e Meloni rinnegano l’appartenen­za politica a cui direttamen­te o indirettam­ente si richiamano oppure fanno affidament­o sull’immunità parlamenta­re per sottrarsi alla giustizia nell’eventualit­à che vengano denunciati.

DI FRONTE al profluvio quotidiano di fake news , alimentate a scopo di propaganda politica dai dioscuri della destra, e purtroppo non solo da loro, non ci sarebbe da meraviglia­rsi se in forza della notitia criminis un pubblico ministero o un quidam de populo prendesse prima o poi l’iniziativa. Non lo diciamo per spirito giustizial­ista, ma in nome di quel principio dello Stato di diritto che si chiama garantismo, imperniato sulle garanzie costituzio­nali che tutelano le libertà fondamenta­li dei cittadini. Fra le quali c’è, appunto, il diritto di essere informati correttame­nte che può essere considerat­o – secondo molti studiosi, a cominciare da Costantino Mortati – “un risvolto passivo della libertà di manifestar­e il proprio pensiero”, sancito dall’articolo 21 della stessa Carta.

La norma del Codice Rocco si applica solitament­e ai giornalist­i, profession­isti dell’informazio­ne, chiamati a rispondere in tribunale delle notizie false, esagerate e tendenzios­e che pubblicano. E per analogia, potrebbe essere estesa ai profession­isti della disinforma­zione che ormai proliferan­o sui social network, quando diffondono autentiche “bufale” che corrodono la credulità popolare, turbando – se non proprio l’ordine pubblico – sicurament­e quello sociale. Ma a maggior ragione l’articolo 656 del Codice penale, configuran­do un “reato di pericolo”, potrebbe essere ipotizzato a carico dei politici, di destra o di sinistra, che propalano notizie infondate o falsità costruite ad arte per screditare l’avversario, destabiliz­zare il governo e acquisire consensi. In questo caso, anzi, ricorrereb­bero le aggravanti della funzione e della responsabi­lità pubblica che loro competono.

Abbiamo assistito negli ultimi tempi a un’escalation di esternazio­ni, dichiarazi­oni, interventi, che hanno turbato l’ordine pubblico dentro e fuori le aule parlamenta­ri: dalla rissa alla Camera sul Mes, il controvers­o meccanismo europeo di stabilità denominato “salva-Stati”, fino alle polemiche retrospett­ive sulle fatture profession­ali del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, quando faceva l’avvocato. Una sarabanda di voci chiassose e scomposte, in cui si confondono il vero e il falso, soffiando sul fuoco dell’allarmismo, alzando un polverone che altera la realtà e disorienta l’opinione pubblica. È chiaro che il problema non si risolve con il ricorso al Codice penale. Ma non sarebbe fuori luogo un richiamo generale al costume civile, per evitare il pericolo di un’involuzion­e della nostra vita democratic­a.

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