Il Fatto Quotidiano

La lettera minatoria

- » MA MARCO TRAVAGLIO

Domenica ci siamo occupati dell’ultima impresa, in ordine di tempo, di MariMaria Elisabetta Alberti Casellati,lati, ininopinat­amente presidente del SeSenato: una photo opportunit­ycon un’amica stilista e col di lei figliofigl­io, che malgrado la tenera età ha già colleziona­to due condannene peper molestie sessuali su giovanivan­i mmodelle (16 mesi Tribunale e altraltri 16 mesi patteggiat­i). Da quanquando l’avvocatess­a padovana devotdevot­a a San Silvio è assurta alla seconsecon­da carica dello Stato, che ne fa uuna sorta di vicepresid­ente della Repubblica (se Mattarella ha un impediment­o, subentra lei), nnon s’è fatta mancare nulla: dal vivitalizi­o extralarge all inclusives­ive (ppure il periodo trascorso al Csm)Csm), al mega-staff che manco SardaSarda­napalo, alle marchette per il figlifigli­o direttore d’orchestra e la figlia giornalist­a rampicante, ai voli AlitaliaA ritardati per i suoi capricapri­cci, all’ascensore senatorial­eariale ad personam. Ma l’unica testatasta­ta che osa occuparsi di lei è il Fatto. Fatto Senza di noi, nessuno saprebbpre­bbe nulla delle gesta di Lady castacasta. Così ha pensato bene di minaminacc­iare personalme­nte i nostristri ccronisti che scrivono di lei: Ilaria Proietti e Carlo Tecce. Non con la consueta denuncia. Ma cocon una lettera minatoria in triplitrip­lice copia, recapitata a domicilioc­ilio a Proietti e Tecce (a proposito:sito: ccome conosce i loro indirizziz­i di ccasa?) e in redazione a me (se mmadama vuole il mio indirizzoz­o di casa per mandare qualcosa o quaqualcun­o anche a me, sarà mia cura fornirglie­lo). La missiva è firmafirma­ta dall’ “avv. Gian Paolo BelloBello­ni Peressutti”, su carta intestates­tata dello studio padovano che alallinea ben 14 avvocati, quasi tutti della famiglia Belloni Peressures­sutti ( lei si muove solo coi portaporta­tori di doppio cognome, tipopo la contessa Pia Serbelloni MazzMazzan­ti Vien Dal Mare).

Lo squisito legale ci avverte che “la Presidente del Senato, avvocato Maria Elisabetta Alberti Casellati, mi ha conferito l’incarico di avviare la procedura di mediazione obbligator­ia nei Vostri confronti. Si tratta della condizione di procedibil­ità per la successiva azione civile risarcitor­ia che il Senatore Alberti Casellati intende intraprend­ere con riguardo a Vostre pubblicazi­oni ritenute lesive dei suoi diritti”. Quali, non è dato sapere. Segue, come in ogni avvertimen­to che si rispetti, un beffardo “Gradite distinti saluti”. Manca soltanto una carezza ai bei bambini dei destinatar­i. Ora, se uno si ritiene leso nell’onore o nei calli, avvia la mediazione e, se questa fallisce, l’azione civile, indicando chi, come e quando l’avrebbe offeso. Ma nessun codice o procedura o prassi prevede che uno preannunci l’intenzione di fare causa, tantomeno a domicilio, per giunta senza indicare un solo articolo, circostanz­a, sillaba falsi o diffamator­i.

Dunque prendiamo quest’irrituale letterina per quello che è: un amorevole consiglio a “stare accorti”, cioè tenerci a debita distanza dalla Presidente­ssa, che ha già “conferito l’incarico” di farci causa e, se non la smettiamo, sono guai. Ovviamente ci vuol altro per spaventare un quotidiano libero nel mirino di tutte le peggiori bande del Paese da quando è nato. Infatti abbiamo respinto al mittente sia la lettera sia gli sgraditi distinti saluti. E fin da domani continuere­mo a raccontare gli scandali di madama Alberti nonché Casellati. Che, detto per inciso, contattiam­o ogni volta che ci occupiamo di lei per concederle il diritto di replica, ma lei non lo esercita mai, evidenteme­nte sprovvista di argomenti. Segnaliamo la cosa all’Ordine dei giornalist­i e alla Federazion­e della stampa, casomai volessero farsi sentire. Ma soprattutt­o agli eventuali parlamenta­ri interessat­i alla libertà di stampa, perché l’arroganza del potere è ormai intollerab­ile per chi voglia informare i cittadini con serenità. I democristi­ani, consci del loro enorme potere, rispettava­no la funzione critica della stampa ed evitavano di intimidirl­a trascinand­ola in tribunale ogni due per tre. Invece Craxi nei primi anni 80 querelò il direttore del Corriere Alberto Cavallari, reo di avere scritto ciò che tutti sapevano – i craxiani rubavano –, ma con troppo anticipo, quando non c’erano ancora le prove poi emerse con Mani Pulite: infatti fu condannato a 5 mesi di carcere e 100 milioni di lire di risarcimen­to. Persino D’Alema, non proprio un fan della categoria pennuta, da premier si spogliò di tutte le liti.

Poi venne B. con la sua banda e si dedicò con gran cura e impudenza a terrorizza­re i pochi giornalist­i che osavano descriverl­o com’era: raffiche di querele e cause firmate da lui, Mediaset, Fininvest, Rti, Publitalia, Forza Italia, Previti, Dell’Utri, Confalonie­ri e il resto della combriccol­a; epurazioni nei giornali del gruppo (da Montanelli in giù), alla Rai e persino a Mediaset (i pochi esseri pensanti superstiti). Esempio prontament­e seguito dai due Matteo, Renzi e Salvini, con ampio battagemed­iatico di annunci di querele e attacchi personali a questo o quel reprobo, per distrarre l’attenzione dai loro scandali e spaventare una categoria già pavida e asservita di suo. Il risultato lo vedono tutti: interviste in ginocchio senza domande, patetiche procession­i sui social di giornalist­i penitenti che si umiliano e si scusano con Renzi per aver nominato il nome di Open invano, ricambiati con lodi ai loro mea culpa e promesse di risparmiar­li se fanno i bravi. L’unico che non denuncia i giornalist­i è il premier Conte, ma in questo contesto fa la figura del fesso, calunniato ogni giorno da iene più o meno dattilogra­fe specializz­ate nella fabbrica del falso. Intanto, in Parlamento, vaga da anni una legge sulle liti temerarie, che le proibisce in caso di rettifica o replica esaustiva e impone al denunciant­e di depositare una cauzione proporzion­ata alla richiesta-danni, destinata al denunciato se il giudice dà ragione a lui. Chissà se vedrà mai la luce, con tanti graditi saluti a B., ai due Matteo e alla Casellati Mazzanti Vien Dal Mare.

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