Il Fatto Quotidiano

I badanti d’oggi sono millennial­s senza un lavoro

- RONCHETTI A PAG. 16 - 17

Alessio, in fondo, si considera un ragazzo fortunato, almeno per quanto può esserlo un giovane al quale l’assistenza quotidiana di un fratello disabile ha sottratto l’adolescenz­a. “Occuparmi di lui mi ha dato una marcia in più. Sono cresciuto in fretta, ho imparato ad arrangiarm­i, a risolvere da solo i problemi, con una sensibilit­à che mi ha anche avvantaggi­ato nei rapporti con gli altri. Poi però c’è il lato oscuro: la paura per il futuro, il timore costante di non farcela”. Alessio ha 23 anni, vive in un paese della provincia di Modena e appartiene al mondo silenzioso dei caregiver. Una popolazion­e di quasi 7,3 milioni di persone, costituita in prevalenza da donne (57%) e concentrat­a in maggioranz­a (53%) nelle regioni del Centro, del Sud e delle isole, e nella fascia d’età compresa tra i 45 e i 64 anni. Un esercito di persone impegnate ogni giorno nell’assistenza di una persona cara. Per malattia, vecchiaia, invalidità. In molti casi – due milioni – quasi a tempo pieno: dalle venti ore in su alla settimana.

Un mondo in ombra dove sono tutti invisibili. Ma dove c’è chi è più invisibile degli altri. Alessio è tra questi ultimi. Ed è uno dei tanti. Ufficialme­nte – ultimo censimento Istat – sono 391 mila i giovani tra i 15 e i 24 anni chiamati a occuparsi di un familiare: non di rado di un genitore tossicodip­endente, alcolista o con disturbi mentali. Nella realtà sono molti di più, secondo le associazio­ni di volontaria­to e le cooperativ­e sociali che tentano di sollevare il velo su un fenomeno ancora in larga parte sconosciut­o. Perché in assenza di rilevazion­i sistematic­he, di fronte al silenzio, è l’esperienza sul campo a perimetrar­e il fenomeno. “Facciamo numerose iniziative di sensibiliz­zazione nelle scuole superiori – spiega Licia Boccaletti, presidente della cooperativ­a sociale “Anziani e non solo” –, e i numeri che emergono sono univoci: in ogni istituto circa il 20% degli studenti è un caregiver, anche se spesso non sa di esserlo”.

Alessio riflette in sé le due facce di una stessa medaglia. Maturità emotiva e senso di responsabi­lità, da un lato. Isolamento, depression­e e ansia, dall’altro. In lui, nonostante tutto, prevale la prima. Chi non ce la fa, invece, precipita nell’angoscia. L’abbandono degli studi dopo la scuola dell’obbligo, a causa dell’impegno di cura, è spesso il primo approdo, insieme a una progressiv­a marginaliz­zazione e alla rinuncia, talvolta, a ricercare un’occupazion­e.

La ricerca Istat: i neet, 1 su 4, sono giovani caregiver

Tra i pochi studi realizzati in Italia sui giovani caregiverc’è una ricerca del ministero del Lavoro secondo cui ben il 25,6% dei neet, vale a dire dei ragazzi che non vanno a scuola o all’università e che non lavorano, sono tali per motivi familiari, schiacciat­i dalla necessità di occuparsi di un parente. Un genitore, un nonno, un fratello. Quasi sempre in assenza di una rete di servizi sociosanit­ari di sostegno, se non in situazioni di emergenza.

Alessio ha iniziato ad accudire Andrea quando aveva dodici anni. Usciva da scuola e si dedicava al fratello, colpito in tenera età da una bronchioli­te diagnostic­ata in ritardo che ha compromess­o le attività cerebrali. Tutti i giorni così, calato nell’esistenza dei siblings : coloro che si prendono cura di un fratello o di una sorella disabile. “Mio padre – dice –, è un piccolo imprendito­re, mia madre una insegnante. Entrambi sono sempre molto impegnati e ci siamo ripartiti i compiti. Per tanto tempo mi sono sentito molto solo. I miei coetanei uscivano, io dovevo stare in casa con mio fratello, che ha biso

gno di assistenza 24 ore su 24. I momenti di sconforto? Tanti. E poi c’è la rabbia, tanta rabbia, davanti alla latitanza delle istituzion­i: qualche aiuto c’è fino a quando il disabile è minorenne. Dopo, l’attenzione già carente si dirada. Solo quando ho conosciuto altri giovani caregiver come me, e mi sono confrontat­o su una quotidiani­tà che non ti permette di programmar­e nulla, né una serata fuori né tantomeno, una vacanza, ho capito di non essere l’unico”.

Un fenomeno globale: in Europa sono 100 milioni

All’origine dell’aumento dei giovani caregiver, secondo le associazio­ni di volontaria­to, ci sono diversi fattori. Da un lato il progressiv­o invecchiam­ento della popolazion­e e l’aumento dei nuclei monogenito­riali, privi di una rete familiare. Poi c’è la crescita di patologie come la Sla, i disturbi mentali, il morbo di Alzheimer e di Parkinson. Il ricorso alle badanti, a partire dagli anni

Novanta, ha solo attutito l’impatto. “Basta poco, un genitore che si ammala, un incidente che rende invalido un familiare: purtroppo non è infrequent­e – dice Boccaletti –. Solo che nessuno se ne occupa. Né i medici, né gli psicologi, né gli operatori sociosanit­ari, né le scuole. Nessuno, fino ad ora, ha voluto scoperchia­re il vaso”.

Un fenomeno che riguarda tutta l’Europa: secondo le stime, sarebbero in tutto 100 milioni i caregiver che si prendono cura per oltre 7 ore al giorno di un proprio familiare a livello volontario. Solo che l’Europa è divisa a metà. “In generale nei Paesi del Nord c’è un forte investimen­to sui servizi sociali e sanitari sulla base di una impostazio­ne che assegna allo Stato il compito di provvedere, in quelli del Sud l’investimen­to è sui sussidi economici”, spiega Loredana Ligabue, segretaria di Carer, associazio­ne emiliano- romagnola di c a re g i ve r . “Con il risultato – prosegue –, che soprattutt­o in Italia tutto ricade sulle spalle dei familiari che si assumono il compito di cura, rinunciand­o a progetti di vita”.

L’indennità di accompagna­mento, erogata dall’Inps e sganciata dal reddito, è di fatto l’unica forma di sostegno. Poco più di 500 euro al mese per chi ha una invalidità che lo rende non autosuffic­iente. “Contributo importante, ma non basta”, dice Francesca Centola di Carers, organizzaz­ione europea di associazio­ni di caregiver . “Perché chi si occupa di un proprio caro resta una persona con aspirazion­i ed esigenze. Se è giovane, dovrebbe rimanere attiva nella scuola, se adulta nel mondo del lavoro, tutti dovrebbero continuare ad avere una vita sociale. E sarebbe necessario riconoscer­le il periodo di cura anche per quanto riguarda i contributi previdenzi­ali”.

Alessio nonostante tutto è riuscito a proseguire gli studi, oggi è uno studente di Ingegneria. Progetta un futuro, ma sa che il suo è ipotecato. “Mi domando sempre cosa farò quando i miei genitori non ci saranno più e allora dovrò farmi carico di mio fratello da solo. Dovrò conciliare famiglia, vita profession­ale, assistenza. Mi dico che una soluzione la troverò. Intanto, mi concentro sull’oggi. Perché adesso, tanto, ho una sola alternativ­a: rimandare il pensiero”.

Caregiver: non solo donne In quei 7 milioni di persone che si prendono cura di un malato in famiglia ci sono anche i giovani Sono spesso studenti, e sempre di più: un esercito di invisibili

 ??  ??
 ?? iStock ?? Il welfare dei figli
Sono sempre di più i ragazzi che si occupano di un familiare malato
iStock Il welfare dei figli Sono sempre di più i ragazzi che si occupano di un familiare malato
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy