IDENTITÀ E LEADERSHIP I DUE NODI DI M5S E PD
L’endemica conflittualità interna alla maggioranza mette a dura prova la fiducia anche di chi – io tra questi – ha sempre sostenuto che, bon gré mal gré, M5S e Pd avessero il preciso dovere di cooperare per non consegnare il Paese a una destra illiberale e nazionalista. Non sulla base di un contratto, ma di una comune visione. Conferendo spessore e orizzonte politico al loro rapporto. Spes contra spem merita segnalare due condizioni, che rispettivamente riguardano i 5 Stelle e il Pd. Due “compiti a casa”.
IL M5S DÀ l’impressione di rappresentare l’epicentro della instabilità dell’esecutivo. Ci si concentra sulla contrastata e ondivaga leadership di Di Maio. Egli effettivamente trasmette l’impressione di essersi acconciato di malavoglia alla collaborazione con il Pd. E tuttavia non esagererei nella personalizzazione del problema. Alla radice sta il nodo irrisolto, più di fondo e oggettivo, d e ll ’ identità e della missione del M5S n el l ’ attuale fase. Mi era sembrato che gli annunciati Stati generali del Movimento – il corrispettivo dei vecchi congressi – sottintendessero la consapevolezza di questo cruciale problema. Lessi con soddisfazione la pur sobria nota del blog ufficiale che ne dava notizia. In poche righe si fissavano tre punti: rispetto alle origini tutto è cambiato; non si deve recedere dal costruttivo impegno dentro le istituzioni; s’ha da operare un salto di qualità nella condivisione delle responsabilità. In forma ancor più secca si è espresso il fondatore- garante Grillo: indietro non si torna, è preclusa la via romantica e regressiva di un ritorno alle origini. Mi permetto di riassumere con parole (e attese) mie l’ordine del giorno degli Stati generali: responsabilità di governo, cultura della coalizione, strutturazione e democrazia interna al Movimento, scelta di campo (l’opposto della teoria dal sapore trasformistico dell’ago della bilancia), contendibilità della leadership. C’è un solo modo per razionalizzare e conferire costrutto politico alla stessa competizione per la leadership, altrimenti risucchiata dentro la logica entropica di mere rivalità personali e di gruppo indecifrabili politicamente: quello di legarla a distinte e riconoscibili piattaforme politiche sui punti suddetti. Oggi si obietta che non vi sarebbero alternative a Di Maio. Ma esse, naturaliter, sortirebbero da un aperto confronto “congressuale”.
Va dato atto a Zingaretti di avere scommesso su un rapporto politico strategico con il M5S, dopo le sue prime riserve. Tuttavia, problemi non mancano anche sul versante Pd. Due in particolare. Anch’essi esigerebbero un franco e serrato confronto sin qui eluso. Il primo è un giudizio sul lungo tempo della stagione renziana. La svolta recente presupponeva che si facessero i conti con gli errori del passato, a cominciare dal deragliamento della stagione renziana, oggi retrospet tivamente comprovato dalla traiettoria e dall’approdo del suo protagonista. Sul punto ha ragione Bersani che evoca la costituente di qualcosa di nuovo: il centrosinistra, a sua volta, non può riproporre semplicemente se stesso, deve marcare una visibile discontinuità, nei contenuti e nella sua forma politica, se vuole riconquistare appeal ed elettori. Per affrancarsi dal suo profilo governista, dal suo schiacciamento sull’establishment che lo fa inidoneo a raccogliere la domanda di partecipazione espressa da ultimo dalle Sardine. Che pure sono ostili alla destra e per nulla inclini all’antipolitica. Solo così può risultare convincente che la stessa alleanza con il M5S non è meramente occasionale ed emergenziale. Il secondo, connesso problema è il peso, tuttora esorbitante, degli ex (?) renziani che fanno eco (concordata?) alle posizioni di Italia viva e che, di conseguenza, più o meno apertamente, contrastano l’investimento politico strategico nel rapporto con il M5S. Comprendo la difficoltà: escluso Zingaretti, all’epoca appartato nel Lazio, la quasi totalità del gruppo dirigente Pd partecipò o quantomeno si acconciò al renzismo. Ma vi sono casi eclatanti, ai vertici del partito e dei gruppi parlamentari, che francamente sconcertano e trasmettono l’idea di una identità politica irrisolta.
UN TALE, DOPPIO chiarimento interno a M5S e Pd può altresì giovare allo scopo di depotenziare il “genio guastatori” di Italia Viva. Secondo la fantasiosa narrazione renziana, i suoi critici di un tempo dentro il Pd facevano la guerra al Matteo sbagliato (lui, anziché Salvini). Ora palesemente è lui che gli sta dando una mano. Una liaison che, concordata o no, è nelle cose.