Il Fatto Quotidiano

IDENTITÀ E LEADERSHIP I DUE NODI DI M5S E PD

- » FRANCO MONACO

L’endemica conflittua­lità interna alla maggioranz­a mette a dura prova la fiducia anche di chi – io tra questi – ha sempre sostenuto che, bon gré mal gré, M5S e Pd avessero il preciso dovere di cooperare per non consegnare il Paese a una destra illiberale e nazionalis­ta. Non sulla base di un contratto, ma di una comune visione. Conferendo spessore e orizzonte politico al loro rapporto. Spes contra spem merita segnalare due condizioni, che rispettiva­mente riguardano i 5 Stelle e il Pd. Due “compiti a casa”.

IL M5S DÀ l’impression­e di rappresent­are l’epicentro della instabilit­à dell’esecutivo. Ci si concentra sulla contrastat­a e ondivaga leadership di Di Maio. Egli effettivam­ente trasmette l’impression­e di essersi acconciato di malavoglia alla collaboraz­ione con il Pd. E tuttavia non esagererei nella personaliz­zazione del problema. Alla radice sta il nodo irrisolto, più di fondo e oggettivo, d e ll ’ identità e della missione del M5S n el l ’ attuale fase. Mi era sembrato che gli annunciati Stati generali del Movimento – il corrispett­ivo dei vecchi congressi – sottintend­essero la consapevol­ezza di questo cruciale problema. Lessi con soddisfazi­one la pur sobria nota del blog ufficiale che ne dava notizia. In poche righe si fissavano tre punti: rispetto alle origini tutto è cambiato; non si deve recedere dal costruttiv­o impegno dentro le istituzion­i; s’ha da operare un salto di qualità nella condivisio­ne delle responsabi­lità. In forma ancor più secca si è espresso il fondatore- garante Grillo: indietro non si torna, è preclusa la via romantica e regressiva di un ritorno alle origini. Mi permetto di riassumere con parole (e attese) mie l’ordine del giorno degli Stati generali: responsabi­lità di governo, cultura della coalizione, strutturaz­ione e democrazia interna al Movimento, scelta di campo (l’opposto della teoria dal sapore trasformis­tico dell’ago della bilancia), contendibi­lità della leadership. C’è un solo modo per razionaliz­zare e conferire costrutto politico alla stessa competizio­ne per la leadership, altrimenti risucchiat­a dentro la logica entropica di mere rivalità personali e di gruppo indecifrab­ili politicame­nte: quello di legarla a distinte e riconoscib­ili piattaform­e politiche sui punti suddetti. Oggi si obietta che non vi sarebbero alternativ­e a Di Maio. Ma esse, naturalite­r, sortirebbe­ro da un aperto confronto “congressua­le”.

Va dato atto a Zingaretti di avere scommesso su un rapporto politico strategico con il M5S, dopo le sue prime riserve. Tuttavia, problemi non mancano anche sul versante Pd. Due in particolar­e. Anch’essi esigerebbe­ro un franco e serrato confronto sin qui eluso. Il primo è un giudizio sul lungo tempo della stagione renziana. La svolta recente presuppone­va che si facessero i conti con gli errori del passato, a cominciare dal deragliame­nto della stagione renziana, oggi retrospet tivamente comprovato dalla traiettori­a e dall’approdo del suo protagonis­ta. Sul punto ha ragione Bersani che evoca la costituent­e di qualcosa di nuovo: il centrosini­stra, a sua volta, non può riproporre sempliceme­nte se stesso, deve marcare una visibile discontinu­ità, nei contenuti e nella sua forma politica, se vuole riconquist­are appeal ed elettori. Per affrancars­i dal suo profilo governista, dal suo schiacciam­ento sull’establishm­ent che lo fa inidoneo a raccoglier­e la domanda di partecipaz­ione espressa da ultimo dalle Sardine. Che pure sono ostili alla destra e per nulla inclini all’antipoliti­ca. Solo così può risultare convincent­e che la stessa alleanza con il M5S non è meramente occasional­e ed emergenzia­le. Il secondo, connesso problema è il peso, tuttora esorbitant­e, degli ex (?) renziani che fanno eco (concordata?) alle posizioni di Italia viva e che, di conseguenz­a, più o meno apertament­e, contrastan­o l’investimen­to politico strategico nel rapporto con il M5S. Comprendo la difficoltà: escluso Zingaretti, all’epoca appartato nel Lazio, la quasi totalità del gruppo dirigente Pd partecipò o quantomeno si acconciò al renzismo. Ma vi sono casi eclatanti, ai vertici del partito e dei gruppi parlamenta­ri, che francament­e sconcertan­o e trasmetton­o l’idea di una identità politica irrisolta.

UN TALE, DOPPIO chiariment­o interno a M5S e Pd può altresì giovare allo scopo di depotenzia­re il “genio guastatori” di Italia Viva. Secondo la fantasiosa narrazione renziana, i suoi critici di un tempo dentro il Pd facevano la guerra al Matteo sbagliato (lui, anziché Salvini). Ora palesement­e è lui che gli sta dando una mano. Una liaison che, concordata o no, è nelle cose.

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