Il Labour, i Tory e la guerra ai seggi “marginal”
Elezioni, meno due Conservatori in vantaggio ma a fare la differenza potrebbero essere 36 collegi ancora in bilico
Meno due giorni alle elezioni. I conservatori sono ancora in vantaggio, con scarti che, a seconda dei sondaggi, vanno dai 14 punti che garantirebbero la maggioranza assoluta, ai 6 che promettono un Parlamento paralizzato. Ogni gesto, errore, dichiarazione può ancora avere un impatto sugli indecisi. Sullo sfondo di una fabbrica, Boris Johnson viene intervistato da Joe Pike di ITV, che sul proprio telefonino gli mostra un’immagine che nel Regno Unito da qualche giorno è virale. Ritrae Jack Williment-Barr, 4 anni, possibile polmonite, riverso su un mucchio di cappotti sul pavimento di un ospedale di Leeds che non ha letti disponibili. Johnson non guarda, parte in automatico con la propaganda elettorale, le promesse di maggiori fondi al Servizio sanitario, il mantra del voltare pagina, come se a governare da 9 anni non fosse il suo partito. Pike insiste. Johnson pur di non guardare si mette il telefonino in tasca. Il giornalista lo smaschera, Boris balbetta le scuse a lui e alla famiglia del bambino.
MA È UNO SCIVOLONE grave in una giornata difficile di tour in cui ha incontrato tanti focolai di contestazione, tanto da essere costretto a cancellare appuntamenti elettorali. Perché quell’incidente conta? Perché dimostra una totale mancanza di empatia in una fase in cui la vittoria potrebbe dipendere da poche decine di migliaia di elettori È il calcolo di Best for Britain, lobby anti-Brexit, secondo cui basterebbero 41.000 voti per cambiare i destini di 36 marginals, i collegi elettorali contesi dove i Tories nel 2017 hanno vinto con scarti minimi. La battaglia per Downing Street e il futuro del Paese si giocano lì, perché per il sistema elettorale britannico conta il numero di collegi vinti, non il totale dei voti nazionali. E il voto stavolta si decide su Brexit, sì o no, più che sull’asse della fedeltà al partito o della fiducia nei programmi elettorali. In una situazione così fluida, la differenza potrebbe farla il voto tattico, il voto utile in Italia: puntare sul candidato che ha più chance di fermare i Tories e concentrare il voto su quello, senza disperderlo sugli altri. Ergo: i conservatori pro Remain inorriditi dallo slogan di Johnson Get Brexit Done potrebbero votare per i Lib-Dem, che vuole cancellare il risultato del referendum, o i si mp at izz an ti lib-dem confluire sul candidato laburista. “Hold your nose”. Turarsi il naso e votare contro: una strategia di lunga tradizione italiana che qui potrebbe convincere fino al 10% degli elettori, Può funzionare? I Tories lo temono, e hanno scatenato una massiccia offensiva soprattutto nelle roccaforti laburiste leaver del nord-est e della Midlands. Dove il problema si chiama Jeremy Corbyn. “Cerchiamo di parlare del programma, ma è meglio se non nominiamo Corbyn” ammette uno dei volontari dell’armata laburista che in queste ore continua il porta a porta. Doodley North, Bishop Auckland, Peterborough, Rotherham. Aree post industriali che hanno votato Leave con percentuali oltre il 65%, ma che disprezzano l’ambiguità del segretario laburista sulla Brexit tanto da stracciare la tessera e addirittura votare conservatore, per la prima volta nella vita. Come dire, la Lega in Emilia- Romagna. E poi c’è la Scozia, dove i Tories sembrano reggere malgrado la defezione, in dissenso con Boris, della loro leader Ruth Davidson. Per il Labour è quasi certa una disfatta, tutta a vantaggio degli indipendentisti di Nicola Sturgeon.
La previsione Best for Britain, lobby anti-Brexit, ritiene che 41 mila voti basteranno per una vittoria a sorpresa