Fuori dai Giochi fino al 2023 Atleti pronti a lasciare Mosca
Il doping La Wada ha confermato la squalifica, alcuni campioni potrebbero scegliere di gareggiare con altre squadre o con colori neutrali
“Una tragedia”. “Una giusta punizione”. “Politica”. Mosca è silente, poi borbotta, infine urla dopo la decisione dell’agenzia mondiale antidoping. Alla Russia la Wada, ha detto di nuovo niet. Bandita dalle Olimpiadi di Tokyo dell’anno prossimo e da quelle del 2022 a Pechino. Bandita dai campionati del mondo, dalle Universiadi, dai campi di gioco e dai podi per i prossimi quattro anni. Per lo stesso periodo rimangono fuori i membri dell’Rpc, Comitato paralimpico russo e Roc, comitato olimpico. Gli atleti di Mosca fissano l’orizzonte del loro futuro, che da ieri si palesa di nuovo con i colori della bandiera neutrale. Sotto il tricolore patrio non potranno gareggiare ai campionati gli sportivi del Paese su cui ora pende anche il divieto di ospitare qualsiasi competizione sportiva.
QUESTA SCELTA È “il continuo dell’isteria anti-russa, ormai è diventata una condizione cronica” ha detto Dimitry Medvedev e per il Cremlino “la Wada sta cercando di dividere lo Stato e i suoi atleti, questo non è sport. È politica”. Il muro delle versioni ufficiali però è frantumato da voci fuori dal coro, quelle possenti di chi ha già molte medaglie d'oro al collo. “Abbiamo avuto quello che meritavamo, sono d’accordo con la decisione della Wada” ha detto il campione russo di biathlon Aleksander Tikhonov. Parla di quelli che molti chiamano “atleti della Duma”, gli sportivi vicini al Cremlino che avrebbero “potuto darsi da fare per sistemare le cose” ma sono rimasti fermi. Che nel suo Paese si ricorresse al doping sistematicamente è certo l’ex tennista Evgeny Kafelinkov: “la reputazione dello sport russo si sarebbe potuta salvare se i colpevoli avessero detto “ho sbagliato, perdonatemi”. Molti sono rimasti zitti, pochi stanno facendo il contrario. Per Yuri Ganus, capo della Rusada, agenzia russa antidoping, “è una tragedia e molti atleti stanno contemplando di lasciare la Russia”, quel Paese che secondo Craig Reedie, presidente Wada, poteva cambiare, “ricongiungersi alla comunità antidoping globale” ma ha continuato “a mantenere una posizione di inganno e negazione”.
Per la Wada la Russia ha fallito di nuovo: ha manomesso le informazioni fornite per far procedere le indagini, fornito dati accompagnati da prove false o quasi distrutte, insieme ai campioni dei test antidoping, che avrebbero permesso nei dossier di evidenziare i nomi di chi aveva fatto ricorso a sostanze vietate. Le discrepanze nei dati forniti per far continuare le indagini “sono dovute a problemi tecnici del laboratorio”, ha spiegato Pavel Kolobkov, ministro russo dello sport. La Mosca che ha ammesso infine il ricorso al doping dei suoi atleti, evidenziato dal rapporto McLaren del 2015, ha continuato a negare le responsabilità delle sue istituzioni e autorità sportive nell’organizzazione di quello che costituiva un metodo sistematico e non un’eccezione.
ORA LE DISCUSSIONI a ndranno avanti alla Rusada, ha riferito Svetlana Zhurova, ma finiranno probabilmente in appello alla Cas, corte arbitrato per lo sport con sede a Losanna. “Nessuna sorpresa per questo risultato”, ha detto ferma Maria Lasitsekne, zarina del salto in alto. “Non ho mai creduto alle promesse di chi diceva che sarebbe stato tutto ok, continuerò a combattere per il mio diritto di gareggiare”. Prima ha attaccato i dirigenti russi per le riforme mancate: “Gli atleti puliti sono indifesi ”, poi quelli americani dell’Usada. Alle Olimpiadi di Tokyo la Russia non ci sarà, sotto colore neutrale lei invece sì.
Le bugie Maria Lasitsekne, zarina del salto in alto: “Dicevano è tutto ok, ma non gli credevo”
Queste decisioni sono dirette ad atleti che sono già stati puniti e ricordano una isteria anti-russa cronica DMITRY MEDVEDEV