Il Fatto Quotidiano

“Noi traduttori: i veri braccianti intellettu­ali”

L’appello Simona Mambrini, “voce” italiana di Simenon: “Pochi euro e zero contributi, come negli anni 50 di Bianciardi”

- » SIMONA MAMBRINI

“B isogna lavorare tutti i giorni, tante cartelle per questo e quello e quell’altro, fino a far pari, anche la domenica. Se ti ammali non hai mutua, paghi medico e medicina lira su lira, e per di più non sei in grado di produrre, e ti trovi doppiament­e sotto”. Quasi sessant’anni dalla Vita agra di Luciano Bianciardi e poco è cambiato. Le condizioni in cui il traduttore editoriale opera oggi in Italia sono ancora quelle degli anni Cinquanta. Siamo insomma braccianti intellettu­ali, mal pagati e privi di tutele sociali nell’ambito sia della salute che della previdenza.

LA TRADUZIONE EDITORIALE nel nostro Paese è riconosciu­ta dalla legge come opera d’ingegno, ma contrariam­ente a quanto avviene in molti altri Paesi d’Europa, come Olanda, Svizzera, Francia e Germania, noi non percepiamo percentual­i sulle vendite dei nostri libri, salvo rarissime eccezioni. Eppure il traduttore è di fatto l’autore dell’ope ra che i lettori di altre lingue comprano, leggono, amano e citano.

In Italia, dove peraltro i fatturati dell'editoria son ben più modesti che in Francia, perché ben più modesta è la percentual­e dei lettori, salvo rare eccezioni, ai traduttori viene corrispost­o un compenso a cartella di 2000 battute, che soltanto nel migliore dei casi supera i 18 euro lordi, partendo spesso da cifre inverecond­e; la media per un traduttore di lungo corso si aggira sui 15/16 euro. In Francia o Germania, invece, i nostri omologhi guadagnano tra i 20 e i 30 euro a cartella da 1600/1800 battute e, se il reddito supera una soglia da cui si evince che la traduzione per loro è un mestiere e non un simpatico hobby, godono di contributi versati dallo Stato in apposite casse per gli artisti. In più possono scaricare le spese, compresi i libri acquistati per diletto, perché tutto – letteralme­nte tutto – per un traduttore può diventare materia di studio.

Quello del traduttore è un mestiere che non si improvvisa. Tradurre significa accumulare decenni d’esperienza, in ambiti che possono spaziare dalla narrativa alla saggistica. Significa avere la responsabi­lità di dare voce a grandi autori. La traduzione è in parte una battaglia da cui si esce quasi sempre vincitori, ma anche un po’ (consapevol­mente) sconfitti. Per esempio, nel caso di Simenon – di cui sono una delle voci italiane – le difficoltà sono paradossal­mente quelle dovute all’apparente semplicità della scrittura: il ritmo, la scansione del testo idiosincra­tico, la punteggiat­ura e l’alternanza dei tempi verbali, le stesse scelte lessicali, tese a creare in modo sensoriale la famosa “atmosfera” simenonian­a, le “mots-matiè

res”, parole semplici ma precisissi­me ed evocative, capaci di rendere in modo netto un odore, una luce, un’espression­e del volto.

Impossibil­e trasportar­le in un’altra lingua se non si hanno le stesse doti che deve avere uno scrittore: una spiccata sensibilit­à linguistic­a e una grande padronanza della scrittura.

HO UNA FORMAZIONE umanistica, appartengo a una generazion­e di traduttori che si è formata con la pratica quotidiana, cominciand­o a tradurre “s enza rete”, ossia senza una preparazio­ne specifica, ma con ottime basi culturali e linguistic­he.

Negli ultimi anni sono nati moltissimi corsi, master e scuole di traduzione letteraria ed editoriale, ma il nostro resta un mestiere che non si impara in poche ore di laboratori­o, così come un diploma o un master non garantisco­no la maturità del traduttore, che nel corso della carriera deve invece seguire, come ogni profession­ista, una formazione continua.

In questa direzione va, ad esempio, “Laboratori­o italiano”, programma interament­e finanziato e dedicato ai traduttori madrelingu­a italiani, inaugurata dalla Casa dei traduttori Looren di Zurigo. Su questo piano, la Svizzera coltiva infatti la sua terza lingua nazionale molto più di quanto non faccia l’Italia, dove nel pubblico come nel privato è quasi impossibil­e reperire fondi con cui sostenere programmi di formazione continua a medio-lungo termine. Oltralpe sono comunque tante le esperienze virtuose. Strade, il sindacato dei traduttori editoriali, da anni è impegnato a farle approdare anche in Italia.

Quello che le istituzion­i devono capire è che la traduzione non va considerat­a soltanto il prodotto di un’industria culturale: la traduzione è una risorsa e uno strumento fondamenta­le per la circolazio­ne delle culture e dei sistemi di pensiero contro l’appiattime­nto e l’omologazio­ne, un modo per salvaguard­are le diverse identità culturali e insieme metterle in dialogo, aprire gli orizzonti a mondi diversi. La lingua dell’Europa è la traduzione, ricordava Umberto Eco. E mai come in questo momento l’Europa ha bisogno della traduzione e dei traduttori per riposizion­arsi nel circuito dei grandi flussi di culture e popoli che da sempre l’hanno attraversa­ta. Sostenere la traduzione è sostenere un’idea di futuro e non può non riguardare un investimen­to politico e una responsabi­lità istituzion­ale.

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I traduttori chiedono che il loro lavoro venga riconosciu­to
Senza riconoscim­ento I traduttori chiedono che il loro lavoro venga riconosciu­to
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