L’altro re del Giglio social (che fa gaffe pure offline)
Magari una bestia no, ma una bestiolina di sicuro. A capo della quale c’è Alessio De Giorgi, 50 anni nato a Genova ma “toscano nel cuore”, chiamato nel 2016 a Palazzo Chigi per guidare la comunicazione digitale di Matteo Renzi e oggi del suo nuovo partito, Italia Viva. Ieri ha provato a difendersi da chi accusa i renziani di avere una struttura comunicativa simile a quella di Matteo Salvini dopo gli insulti di molti sostenitori dell’ex premier nei confronti di Corrado Formigli: “No. La Bestia no – ha scritto irritato – Chiamateci come più vi aggrada, ma la Bestia no. Perché ci guida un sistema valoriale ben diverso da quello di Salvini: un sistema molto solido, che magari non tutti condividete ma che non è certo dettato dai likes. Perché non usiamo troll, ma i nostri sono soltanto utenti reali”.
POI PERÒ il capo della comunicazione renziana ha ammesso che “certo, siamo attrezzati e ci coordiniamo” perché “da sempre capiamo l’importanza di una presenza forte sulla comunicazione digitale. E certo, a dei singoli ogni tanto manca il freno a mano e, per quanto ci è possibile, cerchiamo di fermarli”. Eppure, De Giorgi alle uscite a vuoto ormai si è abituato: nell’estate del 2017 era scoppiata una polemica su alcuni post e tweet della pagina “Matteo Renzi news” che ricordavano molto le campagne di Tze Tze del M5S o della Bestia salviniana: “condividiamo”, “diffondiamo” e giù post di Renzi paragonato al capitano della Roma Francesco Totti. De Giorgi aveva spiegato che quel profilo era gestito da fan che “non fanno parte della struttura ufficiale” ma poi aveva risposto a un utente come amministratore della pagina “Matteo Renzi News”. Una gaffe non da poco. Chi lo conosce bene lo definisce un personaggio “molto egocentrico” e “sempre sopra le righe”: primo italiano a unirsi con un’unione Pacs nel 2002, per diversi anni è conosciuto come il re della mondanità in Versilia essendo proprietario di diversi locali e discoteche della zona, tra cui il “Mamamia” di Torre del Lago di cui è ancora socio. Nel 1997 fonda il sito gay.it e ci rimane fino al 2016 quando, dopo aver sostenuto l’ascesa politica di Renzi, lui lo chiama a Palazzo Chigi. Nel mezzo tenta una improbabile discesa in politica con “Lista Civica” di Monti, ma dopo 16 giorni lascia per le foto in compagnia di una drag queen pubblicate da Libero (“un tritacarne mediatico” dirà lui). Che non ami i suoi colleghi giornalisti lo ha dimostrato durante l’ultima Leopolda dopo che il Fatto aveva scritto che il sito di Italia Viva era curato da un’azienda, la Nation Builder, che aveva curato la campagna di Brexit e Trump. Lui, stizzito su Facebook, ci ha definiti così: “Definirvi giornalai è un insulto a una piccola ma preziosa categoria professionale, purtroppo in crisi. Cialtroni, in malafede”. Un signore.
“Diversi da Salvini” La candidatura con Monti e gli insulti al Fatto. Ma guai se lo paragoni al leghista