Niente più “avanzi” a Rousseau: Di Maio cambia già la regola
Giovedì la modifica allo Statuto che va incontro alle richieste dei “dissidenti”: così il capo prova a togliere armi ai nemici
Per capire quello che sta succedendo dentro ai Cinque Stelle, è il caso di tornare a giovedì scorso. Sono le 4 del pomeriggio quando la porta della sala in cui sono riuniti i senatori del Movimento si apre per la prima volta. Esce Vito Crimi, il viceministro degli Interni, che è pure il più anziano componente del Comitato dei garanti M5S. Quello, per capirci, che subentrerebbe al capo politico in caso di dimissioni.
È Crimi a offrire alla platea le prime aperture sulle ipotesi di modifica dello Statuto M5S. Poi, tocca al capogruppo a Palazzo Madama Gianluca Perilli fare il resto: consegna ai cronisti che sono fuori dall’aula ad attendere l’esito della riunione, il più estroverso dei senatori “ribelli”, Emanuele Dessì. È Perilli, tra lo stupore dei presenti, a portarlo dai giornalisti, a dimostrazione che il documento in 5 punti di cui Dessì si è fatto portavoce, non sia più eresia per nessuno. C’è un attacco a Davide Casaleggio, là dentro, con la richiesta di trasformare la sua azienda in un semplice “fornitore di servizi telematici”. C’è l’ipotesi di cambia
I facilitatori
Via anche la possibilità di scegliere i “regionali”: resta decisivo il voto della base
re il format delle restituzioni. E c’è pure il divieto di sovrapposizione tra cariche politiche e governative. Che tradotto, significa che Luigi Di Maio, se è capo politico, non può fare anche il ministro degli Esteri. “O viceversa”, precisa beffardo Dessì, pronto a portare quelle proposte agli Stati generali del Movimento che si terranno a marzo.
MA AL DI LÀ delle battaglie “di tre persone che firmano un documento”, per dirla con Di Maio, il punto è quello che stava accadendo a qualche isolato di distanza, nello studio di via Po del notaio Luca Amato. Lì, rivela l’A dnKronos , giovedì scorso sono state firmate alcune importanti modifiche allo Statuto del Movimento. Una su tutte: le eccedenze delle restituzioni, ovvero la parte non distribuita alle associazioni decise dalla base, non transiteranno più dal conto intermedio intestato a Luigi Di Maio e ai due capigruppo alle casse di Rousseau. Ma torneranno – come già nella prima legislatura – al fondo per il Microcredito gestito direttamente dallo Stato. Un cambiamento epocale, di questi tempi, che leva un grosso alibi agli “obiettori” delle restituzioni, che contro il “tesoretto” per Rousseau avevano pubblicamente fondato buona parte della loro protesta.
Una sorta di auto-assoluzione preventiva, con cui Di Maio e Casaleggio – l’asse di governo del Movimento mai osteggiata come ora – decidono di presentarsi all’appuntamento di marzo. L’intervento sul tema dei soldi, per ovvie ragioni il più delicato sul piatto, da una parte toglie ai nemici di Rousseau l’elemento di contestazione più popolare, dall’altro consente a Casaleggio di provare ad evitare ulteriori recriminazioni, come quella sul contributo obbligatorio di 300 euro al mese. Proprio ieri, una delle socie dell’associazione, Enrica Sabatini, ha ricordato come ci sia “un lavoro enorme dietro a tutto questo. Una professionalità che deve sposarsi ogni giorno con l’urgenza dei tempi e la pressione mediatica continua e costante”. E che, è il sottotesto, ha bisogno di introiti garantiti.
NELLE STESSE ORE, la riunione del Team del Futuro (i sei esponenti M5S scelti da Di Maio e ratificati dagli iscritti) prendeva un’altra decisione che sa di mani messe in avanti: “In caso di graduatoria rappresentativa di ogni area geografica e della presenza di attivisti e portavoce, non vi saranno interventi correttivi”. Un modo per dire che non sarà Di Maio a scegliere i facilitatori regionali, come già davano tutti per scontato dopo aver letto il regolamento delle candidature. Il capo politico, secondo la nuova formulazione decisa venerdì, interverrà solo se la rappresentanza votata dalla base dovesse risultare squilibrata. Un altro punto segnato dagli oppositori. Che certo, per come si stanno mettendo le cose, arriveranno agli Stati generali con le armi un po’ più spuntate.