Il Fatto Quotidiano

Ripulito e cosciente: Assange è tornato

L’hacker svedese si presenta alla prima udienza. Negli Usa rischia 175 anni

- S. P.

Quando

Julian Assange arriva alla Westminste­r Magistrate­s Court, con un furgone della polizia penitenzia­ria che lo ha prelevato dalla prigione di massima sicurezza di Belmarsh dove è richiuso da aprile, ad accoglierl­o è una piccola folla di attivisti, che dalle prime ore di un mattino gelido manifestan­o per la sua liberazion­e. È lì per l’udienza preliminar­e sulla richiesta di estradizio­ne che, se concessa, potrebbe costargli 175 anni di carcere negli Stati Uniti.

HA CAPELLI E BARBA curati, occhiali leggeri, giacca scura: appare in condizioni molto migliori della volta precedente, a ottobre, quando il suo aspetto e le sue difficoltà a rispondere alle domande più semplici avevano confermato il deteriorar­si della sua salute già denunciato dai suoi legali. Parla solo per dare le proprie generalità e chiedere chiariment­i su un aspetto del procedimen­to. Che verte tutto, ed è clamoroso, su una possibile violazione del suo diritto alla difesa.

Lo spiega uno dei suoi legali, Gareth Pierce: “Sono qui con i miei colleghi e abbiamo moltissimo materiale da discutere con il nostro cliente. Ma dall’ul tima volta che abbiamo contattato la corte, c’è stata solo una visita in carcere. Abbiamo avuto solo due ore con Assange venerdì scorso”. È una denuncia grave e non nuova: secondo i suoi legali, ad Assange non è nemmeno consentito avere accesso a documenti e incontrare i propri difensori per il tempo e nelle modalità necessarie per preparare la propria difesa da 18 capi di accusa, fra cui quella di aver cospirato con Chelsea Manning per aver accesso a materiale classifica­to in un computer del Pentagono: nello specifico, per hackerare una password che dava accesso a database militare e poi averne sottratto e pubblicato su Wikipedia migliaia di documenti. Una scelta che ha pagato duramente. Prima, 7 anni di asilo politico nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove le sue condizioni hanno cominciato a deteriorar­si. Poi l’arresto: di fronte alle telecamere viene portato via con la forza dalla polizia e rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, dove sconta una condanna a 50 settimane, quasi il massimo per il tipo di reato, per aver violato le condizioni della cauzione rifugiando­si in ambasciata nel 2012. In carcere, denunciano i suoi legali, è sottoposto a un regime durissimo, con solo 45 minuti d’aria. E appunto, accesso limitatiss­imo alle carte, tanto che a ottobre i difensori avevano chiesto un mese di tempo in più per prepararsi. Invano: il magistrato non aveva ceduto nemmeno di fronte alla rivelazion­e che Assange e i suoi visitatori, durante la sua permanenza in ambasciata, sarebbero stati regolarmen­te spiati e registrati dalla Global S.L. una società di sicurezza a libro paga dell’intelligen­ce Usa.

NON SOLO: l’udienza è stata perfino anticipata di un giorno e, alle rimostranz­e dei legali, ieri il giudice ha concesso solo un’ora in più di colloquio fra Assange e i suoi avvocati, da tenersi in tribunale. La prossima udienza si terrà a febbraio. Ma l’attenzione mediatica sul suo caso sembra scemare, con pochissimi giornali a seguire l’udienza. A sostenerlo, appelli di giornalist­i e medici e di qualche dozzina di attivisti, come quelli che ieri, salutandol­o, gli hanno gridato attraverso i vetri del blindato: “Fatti forza, noi siamo con te”.

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LaPresse Imputato Julian Assange oggi
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