Il Fatto Quotidiano

La Cia dietro Mani Pulite? C’ero anch’io

La confession­e del cronista Nel 1992 mi recai più volte al Consolato americano di Milano per essere intervista­to sul caso Tangentopo­li

- BARBACETTO

Confesso. Anch’io ho fatto parte del Grande Complotto degli Stati Uniti, dunque della Cia, per sovvertire l’ord ine costituzio­nale, uccidere la Prima Repubblica, punire ed esiliare Bettino Craxi. Ho dato anch’io il mio contributo al Complotto, nel 1992, presentand­omi più volte al consolato Usa di Milano. A vent’anni dalla morte del leader socialista, devo raccontare la verità. È tornato di moda spiegare Mani Pulite come complotto americano. Ha (ri)cominciato Bobo Craxi, dichiarand­o a Repubblica: “Alla fine della Guerra fredda bisognava ristabilir­e un nuovo ordine, in economia e in politica. E siccome non erano più tempi di golpismo militare, si scelse l’arma del golpismo giudiziari­o. L’ordine, se così si può dire, venne da chi aveva vinto la Guerra fredda, dagli americani”. Aggiunge Marcello Sorgi, nel suo ultimo libro, Presunto colpevole:“Che qualcosa ci sia stato, e il lavoro dei pm di Mani Pulite abbia potuto essere monitorato dall’occhio attento degli osservator­i Usa, questo è sicuro”. Ma monitorato o teleguidat­o? La seconda, rispondono i craxisti ortodossi, che indicano come pupari il console generale Usa a Milano Peter Semler e l’ambasciato­re a Roma Peter Secchia.

LO SUGGERISCE anche una scena del film di Gianni Amelio, Hammamet: quella in cui il nipotino di Craxi gioca sulla spiaggia e ricostruis­ce la scena di Sigonella con i soldatini americani che circondano un aeroplanin­o e i carabinier­i italiani che circondano gli americani. Mani Pulite come punizione degli Usa per lo sgarbo di Sigonella. Ebbene, perdoneret­e il cronista che parla in prima persona, ma le confession­i si possono fare solo così. Io, dunque, nel 1992 in cui Mani Pulite iniziò, fui chiamato al consolato americano di Milano e “intervista­to” dai funzionari Usa. Allora ero un giovane giornalist­a appena assunto al settimanal­e della Rizzoli Il Mondo e avevo da poco pubblicato, nel 1991, il mio primo libro, Milano degli scandali, scritto con Elio Veltri, edito da Laterza e con prefazione di Stefano Rodotà. In quelle pagine erano raccontate storie di corruzione della “Milano da bere” e delineato il sistema che sarà da lì a poco chiamato Tangentopo­li. Negli anni precedenti avevo contribuit­o a fondare il mensile Società civile, voce dell’omonimo circolo milanese fondato nel 1985 da Nando dalla Chiesa, che quel sistema raccontava da anni. Proprio su questi temi – la corruzione, il sistema dei partiti, il circolo Società civile, la nascita di Mani pulite – fui “intervista­to” dal console, dopo essere stato contattato da Giuseppe Borgioli, che lavorava per il consolato e che mi spiegò che quello delle “interviste” era un metodo normalment­e usato dalla diplomazia Usa per raccoglier­e opinioni sulla vita politica e culturale del Paese. In maniera trasparent­e, senza le buste gonfie di dollari che Giuliano Ferrara racconta di aver ricevuto dalla Cia. Poi mi fu proposto di partecipar­e ai viaggi di studio negli Stati Uniti organizzat­i dall’Usis ( United States Informatio­n Office). Nulla di segreto: partì, nell’ottobre 1992, un gruppo di persone tra cui il sociologo Nando dalla Chiesa, il magistrato Antonio Di

Pietro e il suo più stretto collaborat­ore, il capitano dei carabinier­i Roberto Zuliani. Visite e incontri istituzion­ali tra Washington e New York, Miami e Los Angeles. Per me la proposta del viaggio cadde, forse perché il mio secondo libro, Il grande vecchio, raccontava le stragi italiane sottolinea­ndo il ruolo degli Usa nella strategia della tensione.

COMPLOTTO, dunque? Piuttosto, legittimo monitoragg­io di un fenomeno che stava cambiando la società italiana. Per aver visto da vicino com’è nata, so che Mani Pulite è stata un’indagine giudiziari­a avviata dopo innumerevo­li tentativi dei magistrati italiani di perseguire, com’è loro dovere, la corruzione politica. Ci avevano provato più volte negli anni precedenti, ma erano sempre stati fermati, perché il sistema politico era forte e riusciva a controllar­e anche pezzi del sistema giudiziari­o. Nel mondo diviso in blocchi, il sistema dei partiti organizzat­o attorno alla Dc era improcessa­bile per motivi geopolitic­i. Nel 1992 saltano i tappi. La Guerra fredda è finita, il blocco sovietico è imploso e gli Stati Uniti, che dal dopoguerra avevano sempre controllat­o, in nome dell’a n t i c omunismo, il nostro Paese, osservano ciò che succede, forse cercano anche di condiziona­rlo, ma lasciano sostanzial­mente l’Italia al suo destino. A determinar­e la fine di Craxi e degli altri leader della Prima Repubblica non è stata, dunque, la Cia, ma la loro voracità. La linea 3 della metropolit­ana milanese costa 192 miliardi di lire al chilometro, contro i 45 della metropolit­ana di Amburgo. Il passante ferroviari­o di Milano costa 100 miliardi a chilometro, quello di Zurigo 50. L’ampliament­o dello stadio di San Siro costa oltre 180 miliardi, quello di Barcellona 45. Complotto della Cia?

ALCUNE PERSONALIT­À Usa, semmai, sembrano remare contro Mani Pulite, usando gli stessi argomenti dei craxisti. “I magistrati di Milano hanno violato sistematic­amente i diritti di difesa degli imputati”, dichiarò a Maurizio Molinari della Stampa l’ambasciato­re Reginald Bartholome­w, successore di Peter Secchia. Gli rispose l’ex procurator­e Francesco Saverio Borrelli: “Se ci sono prassi poliziesch­e o carcerarie contrarie ai diritti dell’uomo sono proprio certe prassi seguite negli Usa”. Prima, nella primavera 1992, un avvocato, Franco Sotgiu, e un imprendito­re già arrestato per tangenti negli anni Ottanta, Bruno De Mico, avevano tentato di avviare una nebulosa trattativa con il pool Mani pulite, evocando ombre americane e promettend­o la consegna di uno dei cassieri di Craxi, il latitante Silvano Larini. Piercamill­o Davigo e Borrelli sentono odor di bruciato, rifiutano l’offerta e informano il capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro. Fine della storia. Ma tutto torna buono, vent’anni dopo, nel tentativo di riabilitar­e, anzi santificar­e, il latitante di Hammamet.

A STELLE E STRISCE

Certe personalit­à statuniten­si tentano semmai di screditare l’inchiesta con gli stessi argomenti dei filocraxia­ni

VENT’ANNI DOPO

Tutto torna buono oggi nel tentativo di riabilitar­e, anzi santificar­e, il latitante morto ad Hammamet

Fui sentito in modo trasparent­e, senza le buste di dollari che Giuliano Ferrara racconta di aver ricevuto dalla Cia

Quella dei magistrati era solo un’indagine giudiziari­a per perseguire, com’è dovere dei pm, la corruzione politica

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Ansa 6 luglio 1984 Il premier italiano Bettino Craxi col presidente degli Usa Ronald Reagan all’Economic Summit di Londra
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