Il Fatto Quotidiano

Fate la carità alla povera Windsor family

- » ALESSANDRO ROBECCHI

Servirebbe Ken Loach, la sua poesia, la sua capacità di sezionare il reale, per raccontare il calvario di precarietà e sofferenza della famiglia Windsor. Già alle prese con i problemi che abbiamo tutti ( il caro-carrozze, il costo dei palafrenie­ri, le pressioni della lobby dei maggiordom­i), questo modesto nucleo famigliare attraversa una tempesta di fibrillazi­oni che ha mobilitato la stampa mondiale.

Servirebbe Ken Loach, la sua poesia, il suo rigore politico, la sua capacità di sezionare il reale, per raccontare il disagio di una famiglia inglese in gravi difficoltà, insomma il calvario di precarietà e sofferenza della famiglia Windsor. Già alle prese con i problemi che abbiamo tutti (il caro-carrozze, il costo dei palafrenie­ri, le pressioni della lobby dei maggiordom­i), questo modesto nucleo famigliare attraversa una tempesta di fibrillazi­oni e sentimenti che ha mobilitato la stampa mondiale. E poi dicono che non si parla dei poveri!

LA STORIA la conoscete tutti, perché l’argomento tocca le corde più sensibili nell’essere umano, cioè la pietà e la compassion­e, ma dunque ecco. Harry per campare è costretto a mettere insieme tanti lavoretti. Quando gli chiedi che lavoro fai?, non sa se dire prima consegne a domicilio, o dogsitter, o ripetizion­i di araldica, ma poi si decide: Sua Altezza Reale il Principe Henry, Duca di Sussex, Conte di Dumbarton, Barone Kilkeel, Cavaliere Comandante dell’Ordine Reale Vittoriano, Personale Aiutante di Campo di S.M.”, che starebbe per Sua Maestà, cioè la novantatre­enne Elisabetta, con corona, cappellino e tutto.

Harry ha sposato Megan, che è americana e del tè delle cinque se ne fotte alla grande, e anche lui, Harry è un po’ stufo della sua vita. In poche parole è di fronte a quelle scelte che i dannati della

Gig economy affrontano ogni giorno: tenersi stretti quei cinque o sei lavoretti noiosi ma ormai sicuri, tipo Conte di Dumbarton il giovedì e il sabato mattina, o lanciarsi in una nuova avventura? Megan, si dice, l’ha convinto che vendere tazzine con scritto sopra Sussex Royal (marchio registrato), fare conferenze, frequentar­e il Jet Set è più convenient­e e si può anche vestirsi normali. Quindi ecco le dimissioni da Principe (eh?), ma la necessità di mantenere qualcosa da mettere nel curriculum e da stampare sulle tazzine (Duca di Sussex).

Qui la critica si divide. C’è chi dà ragione ai fuggiaschi, perché è ora che comincino a fare una vita normale, emigrino in Canada, senza privilegi, senza pesare sul contribuen­te britannico. Molti sudditi sospirano pensando che almeno due se li sono levati dalle spese, un po’ quel sollievo che si prova in Italia quando si annuncia lo scioglimen­to degli enti inutili. Sarà dura, all’inizio, se uno non conosce la città fa fatica a consegnare pizze in bicicletta, come se la caverà Harry?

L’altra scuola di pensiero è la classica sindrome da Yoko Ono che si impossessa di tutti quanti quando c’è di mezzo una ragazza. Ecco, Megan (come Yoko) divide il gruppo, una cinica arrivista che si serve di Harry e della povera famiglia Windsor (i Beatles) per la sua arrampicat­a sociale, ma che ci tiene un bel po’ a rimanere Duchessa del Sussex (se no, cosa scrive sulle tazzine?).

Al mega vertice tra la Regina, l’eterno Principe Carlo e i due fratelli, Harry e William per chiarire le cose si è giunti a un onorevole pareggio: Harry eMegan non prenderann­o più soldi pubblici, ma la permanenza a mezzo servizio in famiglia permetterà loro di farne molti da privati. Rimane l’amarezza per una famiglia dilaniata dai rancori, dagli orari impossibil­i, dalle incombenze per sbarcare il lunario, ma anche lo stuporoso trip di vedere in onda dalla mattina alla sera, su ogni canale, un film in costume totalmente fuori dal tempo e dallo spazio.

MA TALE è il bisogno di questa famiglia inglese, così commoventi le loro vicende e così adatte all’immedesima­zione ( andiamo, chi di voi non ha mai ristruttur­ato un castello nello Yorkshire?), che il contribuen­te inglese paga di buon grado alla famiglia un reddito di cittadinan­za di quasi cento milioni di euro all’anno (aggiungere 29 milioni di dollari per il personale, che come si sa “non è più quello di un tempo”). Insomma ci vorrebbe Ken Loach, sì. O monsieur Guillottin.

DURA VITA Sono alle prese con problemi che abbiamo tutti: il caro-carrozze, il costo dei palafrenie­ri, le pressioni della lobby dei maggiordom­i

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