Il Fatto Quotidiano

Se smonti l’iPhone ti spieghi l’ascesa della Cina e i guai degli Usa di Trump

- » STEFANO FELTRI

LLO STUDIO L’economista del National Graduate Institute for Policy Studies, Yuqing Xing, ha studiato l’evoluzione della catena produttiva dell’iPhone in 10 anni la dinamica dei rapporti tra Cina e Usa a guerra commercial­e tra Stati Uniti e Cina è sospesa, il presidente Donald Trump ha promesso di annunciare oggi la firma alla Casa Bianca della “fase uno di un accordo” con Pechino. Trump aveva lanciato il suo messaggio di pace a dicembre con la scelta di non far scattare le sanzioni previste su 156 miliardi di dollari di prodotti importati dalla Cina. C’è un calcolo elettorale: nell’anno delle Presidenzi­ali, Trump si presenta ai suoi sostenitor­i come il presidente che ha costretto la Cina a trattare, ma evita che la linea bellicosa mandi gli Stati Uniti in recessione a pochi mesi dal voto. Soltanto propaganda, ma efficace.

Ma a Trump conviene sospendere le ostilità anche perché non può vincere: sta combattend­o il problema sbagliato. Ad allarmare la destra americana e la Casa Bianca è il deficit commercial­e tra Stati Uniti e Cina: 420 miliardi di dollari nel 2018. Tradotto: in un anno gli Usa importano molti più beni dalla Cina di quanti ne esportano, per sostenere questo squilibrio serve indebitars­i, alla lunga l’e c o n omia americana diventa sempre più dipendente da quella cinese. Pechino presta miliardi di dollari al Tesoro americano e i nuovi posti di lavoro si creano nelle campagne cinesi invece che in Ohio o Michigan. Ma queste statistich­e ingannano, perché consideran­o i ricavi lordi, non il valore aggiunto. Se l’impresa A produce una t-shirt e la vende a 15 dollari all’impresa B, poi l’impresa B la vende a 20 dollari al consumator­e finale, i ricavi lordi sono di 35 dollari. Ma il valore aggiunto, cioè quanto ogni passaggio contribuis­ce al prezzo finale, è soltanto di 20 ( 15 dall’impresa A e 5 dall’impresa B). I ricavi di un’impresa sono i costi di un’altra. Quello che resta è il valore aggiunto.

IL MODOgiusto per guardare agli squilibri della globalizza­zione è considerar­e quindi il valore aggiunto, che però è molto più difficile da stimare. Yuqing Xing, un economista del National Graduate Institute for Policy Studies, da dieci anni studia la catena produttiva dell’iPhone Apple per capire come cambiano i rapporti tra Cina e Stati Uniti. Fin dal 2007 gli iPhone vengono assemblati in Cina, nelle famigerate fabbriche Foxconn. Nel 2009 il valore aggiunto dalle imprese cinesi a un iPhone 3G era soltanto di 6,5 dollari a fronte di un prezzo di vendita di 179 dollari. In pratica, compensand­o i ricavi che Foxconn riceveva per il lavoro di assemblagg­io con i costi che doveva sostenere, per ogni iPhone 3G in Cina restavano soltanto 6,5 dollari, tutto il resto era per imprese occidental­i o giapponesi e coreane. Dieci anni dopo, Yuquing Xing ha studiato la produzione dell’iPhone X (prezzo finale: 1.000 dollari). Le cose sono molto cambiate, il valore aggiunto cinese è passato dal 3,6 per cento al 25,4, cioè da 6,5 dollari per ogni telefono a 104.

Dieci anni fa c’era soltanto la Foxconn, nel 2014 le aziende cinesi nella catena di fornitura della Apple erano passate a 14 su 198, nell’iPhone X ne sono coinvolte 10. La batteria è della cinese Sun

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LaPresse Non più sola Foxconn è solo una delle aziende che si occupano delle parti del telefono

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