Se smonti l’iPhone ti spieghi l’ascesa della Cina e i guai degli Usa di Trump
LLO STUDIO L’economista del National Graduate Institute for Policy Studies, Yuqing Xing, ha studiato l’evoluzione della catena produttiva dell’iPhone in 10 anni la dinamica dei rapporti tra Cina e Usa a guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina è sospesa, il presidente Donald Trump ha promesso di annunciare oggi la firma alla Casa Bianca della “fase uno di un accordo” con Pechino. Trump aveva lanciato il suo messaggio di pace a dicembre con la scelta di non far scattare le sanzioni previste su 156 miliardi di dollari di prodotti importati dalla Cina. C’è un calcolo elettorale: nell’anno delle Presidenziali, Trump si presenta ai suoi sostenitori come il presidente che ha costretto la Cina a trattare, ma evita che la linea bellicosa mandi gli Stati Uniti in recessione a pochi mesi dal voto. Soltanto propaganda, ma efficace.
Ma a Trump conviene sospendere le ostilità anche perché non può vincere: sta combattendo il problema sbagliato. Ad allarmare la destra americana e la Casa Bianca è il deficit commerciale tra Stati Uniti e Cina: 420 miliardi di dollari nel 2018. Tradotto: in un anno gli Usa importano molti più beni dalla Cina di quanti ne esportano, per sostenere questo squilibrio serve indebitarsi, alla lunga l’e c o n omia americana diventa sempre più dipendente da quella cinese. Pechino presta miliardi di dollari al Tesoro americano e i nuovi posti di lavoro si creano nelle campagne cinesi invece che in Ohio o Michigan. Ma queste statistiche ingannano, perché considerano i ricavi lordi, non il valore aggiunto. Se l’impresa A produce una t-shirt e la vende a 15 dollari all’impresa B, poi l’impresa B la vende a 20 dollari al consumatore finale, i ricavi lordi sono di 35 dollari. Ma il valore aggiunto, cioè quanto ogni passaggio contribuisce al prezzo finale, è soltanto di 20 ( 15 dall’impresa A e 5 dall’impresa B). I ricavi di un’impresa sono i costi di un’altra. Quello che resta è il valore aggiunto.
IL MODOgiusto per guardare agli squilibri della globalizzazione è considerare quindi il valore aggiunto, che però è molto più difficile da stimare. Yuqing Xing, un economista del National Graduate Institute for Policy Studies, da dieci anni studia la catena produttiva dell’iPhone Apple per capire come cambiano i rapporti tra Cina e Stati Uniti. Fin dal 2007 gli iPhone vengono assemblati in Cina, nelle famigerate fabbriche Foxconn. Nel 2009 il valore aggiunto dalle imprese cinesi a un iPhone 3G era soltanto di 6,5 dollari a fronte di un prezzo di vendita di 179 dollari. In pratica, compensando i ricavi che Foxconn riceveva per il lavoro di assemblaggio con i costi che doveva sostenere, per ogni iPhone 3G in Cina restavano soltanto 6,5 dollari, tutto il resto era per imprese occidentali o giapponesi e coreane. Dieci anni dopo, Yuquing Xing ha studiato la produzione dell’iPhone X (prezzo finale: 1.000 dollari). Le cose sono molto cambiate, il valore aggiunto cinese è passato dal 3,6 per cento al 25,4, cioè da 6,5 dollari per ogni telefono a 104.
Dieci anni fa c’era soltanto la Foxconn, nel 2014 le aziende cinesi nella catena di fornitura della Apple erano passate a 14 su 198, nell’iPhone X ne sono coinvolte 10. La batteria è della cinese Sun