La tragedia dem tra Shakespeare e Renzo Arbore
Ricordate Giulietta? “Ciò che noi chiamiamo rosa avrebbe un altro profumo se lo chiamassimo con un nome diverso?”. Con molte scuse al Bardo – ma qui il dramma è davvero shakespeariano – ricorriamo al famoso interrogativo per introdurre una tragedia di tutt’altra fatta e che potremmo chiamare “Vengo dopo il Pd” (molte scuse anche all’amato Renzo Arbore per l’improprio accostamento). Eh già, ci risiamo: dopo il Pci, il Pds, i Ds, anche il Pd è pronto per esser congedato. “Sciolgo il Pd e lancio il nuovo partito” ha detto Nicola Zingaretti a Massimo Giannini sulle colonne di Repubblica . “Convoco il congresso, con una proposta politica e organizzativa di radicale innovazione e apertura. In questi mesi la domanda di politica è cresciuta, non diminuita. E noi dobbiamo aprirci e cambiare per raccoglierla. Non penso a un nuovo partito, ma a un partito nuovo, un partito che fa contare le persone ed è organizzato in ogni angolo del Paese”. Ovviamente non siete voi a non aver capito, è che è proprio una supercazzola. Le reazioni alla Bolognina di Zingaretti ( sic) spiegano bene il disorientamento generale. Beppe Sala: “La domanda centrale è se Zingaretti stia parlando del Pd o della sinistra. Perché non è detto che tutte le anime che ha evocato siano disponibili a entrare nel Pd per come lo vedono oggi. Mentre in una realtà diversa magari lo sarebbero” (ma chi, le Sardine?). Andrea Orlando: “Ci siamo dati delle regole che consentono dei percorsi che partono dalle idee piuttosto che dalla competizione sulle persone e questo ci consente anche di ragionare sull’esigenza di mettere al centro il pensiero e insieme discutere come questo processo rifondativo si può realizzare” (al centro il pensiero debole). Matteo Orfini: “Vogliamo davvero rifare tutto? Si stracci lo Statuto del Pd, si prenda un foglio bianco e si cominci a ragionare con quel popolo su cosa scriverci sopra” (ancora: ma chi? ma dove? ma quando?). Andrea Marcucci, über alles: “Non venga messa in discussione la matrice riformista del partito, operazioni nostalgia non devono essere contemplate” (di riformismo sono morti e ancora non lo capiscono!).
PURE QUANDO si esce dalla supercazzola organizzativa, quello che un ottimista chiamerebbe il pensiero di Zingaretti non è più chiaro: “Non è il tempo di distruggere, ma di costruire. E quella che va costruita subito è una visione e poi un’azione comune, su pochi capitoli chiari: come creare lavoro, cosa significa green new deal, come si rilancia la conoscenza, come si ricostruiscono politiche industriali credibili nell’era digitale”. Il commissario liquidatore non sa spiegare il perché del fallimento (almeno Occhetto aveva il muro di Berlino ed era un alibi di ferro) e dunque nemmeno può trovare ricette. Infatti non dice quasi nulla sui pochi “capitoli chiari”. Prendiamone uno “a caso”, il lavoro, ciò su cui si è consumato l’imperdonabile tradimento della sinistra a danno dei suoi elettori. E dunque il jobs act: lo vogliamo reintrodurre, compagno Zinga, questo articolo 18? Se non siete proprio convinti della bontà delle tutele per i lavoratori (!), fatelo almeno per dimostrare che l’èra Renzi simboleggia l’opportunismo politico del senatore di Rignano più che lo spostamento a destra del Pd. Spostamento certificato pure dalle divisioni sui decreti Sicurezza: abolirli o ritoccarli? La divisione regna così sovrana che non si capisce perché gli ex compagni stiano insieme (e soprattutto sulla base di cosa chiedano il voto). La ciliegina sulla torta? Ieri alla fine del ritiro spirituale di Contigliano, il leader “dei compagni di niente” ha aperto a un rafforzamento dei poteri del governo: ci manca solo un’altra riforma costituzionale che affondi definitivamente quel che resta del quasi fu Pd.