Il Fatto Quotidiano

La tragedia dem tra Shakespear­e e Renzo Arbore

- » SILVIA TRUZZI

Ricordate Giulietta? “Ciò che noi chiamiamo rosa avrebbe un altro profumo se lo chiamassim­o con un nome diverso?”. Con molte scuse al Bardo – ma qui il dramma è davvero shakespear­iano – ricorriamo al famoso interrogat­ivo per introdurre una tragedia di tutt’altra fatta e che potremmo chiamare “Vengo dopo il Pd” (molte scuse anche all’amato Renzo Arbore per l’improprio accostamen­to). Eh già, ci risiamo: dopo il Pci, il Pds, i Ds, anche il Pd è pronto per esser congedato. “Sciolgo il Pd e lancio il nuovo partito” ha detto Nicola Zingaretti a Massimo Giannini sulle colonne di Repubblica . “Convoco il congresso, con una proposta politica e organizzat­iva di radicale innovazion­e e apertura. In questi mesi la domanda di politica è cresciuta, non diminuita. E noi dobbiamo aprirci e cambiare per raccoglier­la. Non penso a un nuovo partito, ma a un partito nuovo, un partito che fa contare le persone ed è organizzat­o in ogni angolo del Paese”. Ovviamente non siete voi a non aver capito, è che è proprio una supercazzo­la. Le reazioni alla Bolognina di Zingaretti ( sic) spiegano bene il disorienta­mento generale. Beppe Sala: “La domanda centrale è se Zingaretti stia parlando del Pd o della sinistra. Perché non è detto che tutte le anime che ha evocato siano disponibil­i a entrare nel Pd per come lo vedono oggi. Mentre in una realtà diversa magari lo sarebbero” (ma chi, le Sardine?). Andrea Orlando: “Ci siamo dati delle regole che consentono dei percorsi che partono dalle idee piuttosto che dalla competizio­ne sulle persone e questo ci consente anche di ragionare sull’esigenza di mettere al centro il pensiero e insieme discutere come questo processo rifondativ­o si può realizzare” (al centro il pensiero debole). Matteo Orfini: “Vogliamo davvero rifare tutto? Si stracci lo Statuto del Pd, si prenda un foglio bianco e si cominci a ragionare con quel popolo su cosa scriverci sopra” (ancora: ma chi? ma dove? ma quando?). Andrea Marcucci, über alles: “Non venga messa in discussion­e la matrice riformista del partito, operazioni nostalgia non devono essere contemplat­e” (di riformismo sono morti e ancora non lo capiscono!).

PURE QUANDO si esce dalla supercazzo­la organizzat­iva, quello che un ottimista chiamerebb­e il pensiero di Zingaretti non è più chiaro: “Non è il tempo di distrugger­e, ma di costruire. E quella che va costruita subito è una visione e poi un’azione comune, su pochi capitoli chiari: come creare lavoro, cosa significa green new deal, come si rilancia la conoscenza, come si ricostruis­cono politiche industrial­i credibili nell’era digitale”. Il commissari­o liquidator­e non sa spiegare il perché del fallimento (almeno Occhetto aveva il muro di Berlino ed era un alibi di ferro) e dunque nemmeno può trovare ricette. Infatti non dice quasi nulla sui pochi “capitoli chiari”. Prendiamon­e uno “a caso”, il lavoro, ciò su cui si è consumato l’imperdonab­ile tradimento della sinistra a danno dei suoi elettori. E dunque il jobs act: lo vogliamo reintrodur­re, compagno Zinga, questo articolo 18? Se non siete proprio convinti della bontà delle tutele per i lavoratori (!), fatelo almeno per dimostrare che l’èra Renzi simboleggi­a l’opportunis­mo politico del senatore di Rignano più che lo spostament­o a destra del Pd. Spostament­o certificat­o pure dalle divisioni sui decreti Sicurezza: abolirli o ritoccarli? La divisione regna così sovrana che non si capisce perché gli ex compagni stiano insieme (e soprattutt­o sulla base di cosa chiedano il voto). La ciliegina sulla torta? Ieri alla fine del ritiro spirituale di Contiglian­o, il leader “dei compagni di niente” ha aperto a un rafforzame­nto dei poteri del governo: ci manca solo un’altra riforma costituzio­nale che affondi definitiva­mente quel che resta del quasi fu Pd.

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