Melbourne, atleti carne da macello: crollano a terra per l’aria inquinata
Mettiamola
così: fu una fortuna che nell’aprile del 1986, nei pressi di Chernobyl (Ucraina) non fosse in corso alcun evento sportivo tipo meeting di atletica, corsa ciclistica, Mondiale di calcio giovanile, torneo di tennis Ukranian Open. Fu una fortuna perché, in caso contrario, i parrucconi dello sport mondiale non avrebbero avuto dubbi sulla decisione più giusta da prendere: the show must go on, lo spettacolo deve continuare, e che sarà mai una nuvola di materiale radioattivo fuoruscita da un reattore dopo un incidente nucleare per fermare la manifestazione in atto? Se poi qualche atleta ci avesse lasciato le penne, pazienza: dopotutto, non si uccidono così anche i cavalli?, per dirla alla Sydney Pollack. Il nome Sydney ci rimanda, guarda caso, all’Australia; e mai rimando fu più appropriato se è vero che ieri nella città australiana di Melbourne è andata in onda una delle giornate più nere della storia dello sport; con i tennisti iscritti al l’Australian Open costretti a sfidarsi respirando l’aria fortemente inquinata a causa dei giganteschi incendi che hanno messo a fuoco il continente, con conseguenze drammatiche: la slovena Dalila Jakupovic, dopo un serrato scambio con la svizzera Voegele, è stramazzata al suolo in preda a un violento attacco di tosse e non è più stata in grado di continuare. Anche la canadese Eugenie Bouchard si è sentita male e ha dovuto ricorrere all’as si s te nz a medica; il tutto mentre un raccattapalle, assistendo alla partita tra Kavcic e Clarke, è collassato a bordo campo soccorso dagli stessi giocatori. Meglio è andata a Maria Sharapova, ex numero 1 Atp: il suo match contro Laura Siegemund è stato interrotto al secondo set. Come si dice in questi casi: Ave Maria, il Signore è con te.
“Quello che è successo oggi è terribile – ha detto la Jakupovic, 28 anni, professionista dal 2008 –. Gli organizzatori ci hanno obbligato a giocare, noi atleti non abbiamo avuto alcuna possibilità di scelta. Io non avevo mai avuto problemi di respirazione, anzi, mi piace il caldo; e dopo l’intervento del fisioterapista pensavo di farcela a proseguire, ma poi gli scambi si sono prolungati e a un certo punto non sono più riuscita a respirare, mi sono sentita svenire e sono crollata”.
Atleti carne da macello. Non sono servite a nulla, evidentemente, la tragedie sfiorate ai mondiali di atletica criminalmente svoltisi al caldo torrido di Doha, capitale del
Tennis falsato La Jakupovic, dopo lo scambio con la Voegele, è stramazzata al suolo e si è ritirata
Qatar, a ottobre 2019: con le immagini di Jonathan Busby, di Aruba, colpito da malore nel finale dei 5 mila metri che compie gli ultimi duecento metri sorretto di peso da Braima Suncar Dabo, della Guinea Bissau; immagini che hanno fatto il giro del mondo come quelle della maratoneta azzurra Sara Dossena svenuta al km 13 (“Mi è esploso il fisico: quella non era una maratona, era una corsa alla sopravvivenza”), per non parlare delle decine di atleti collassati e portati via in sedie a rotelle, con la borsa del ghiaccio sulla testa, prosciugati dai 37 gradi e dal 73% di umidità. Per capirci, allo stadio Khalifa, modernissima cattedrale a cielo aperto, 3000 bocchettoni pompavano aria all’impazzata per tenere la gente a 25-26°, unico modo per non farli arrostire. E per la cronaca: allo stadio Khalifa e in altri stadi simili si giocheranno, nel novembre-dicembre 2022, i Mondiali di calcio assegnati al Qatar dai corrottissimi alti papaveri della Fifa. Per costruirli sono morti nel silenzio centinaia di operai. Ora ci manca solo il calciatore morto sul campo. Che il buon Dio ce la mandi buona.