Riecco Crimi e Lombardi, i “traghettatori”
Dallo streaming con Bersani alla “reggenza” dei 5Stelle
Aonor
del vero, nessuno li aveva dimenticati. Vito Crimi e Roberta Lombardi sono di diritto la pietra fondante dell’immaginario collettivo, quando si parla di Cinque Stelle. Il loro streaming con Pier Luigi Bersani – concluso con la definitiva sentenza: “Non siamo a Ballarò” – spiegò meglio di qualsiasi comizio che erano arrivati e niente sarebbe stato più come prima. Barbari o visionari, dipende da chi li guarda. Ma certo, a quei due, fu caricata una responsabilità che andava ben oltre la larghezza delle spalle individuali. Crimi, siciliano trapiantato a Brescia, è sempre stato il filo diretto con i Casaleggio, padre prima e figlio ora. Lombardi, romana, è una delle poche che ha ancora la possibilità di alzare il telefono ed essere sicura che Beppe Grillo e il capo di Rousseau le risponderanno.
Non è un caso dunque che, usciti dai radar degli esordi, siano finiti nel Comitato di garanzia previsto dallo statuto
M5S. E che adesso siano loro, insieme a Giancarlo Cancelleri in rappresentanza della “lobby siciliana”, a dover gestire la fase di traghettamento che porterà al nuovo capo politico, o come si chiamerà.
Spariti di scena, a dirla tutta, non lo sono stati mai. Uno è viceministro, posto di compensazione dopo che il nuovo corso governista, quello col Pd, imponeva un cambio di guardia sul fronte del rapporto tra Stato ed editoria. Rapporto che Crimi, da sottosegretario del governo gialloverde, interpretò con una certa tempra, tanto da guadagnarsi il titolo di “gerarca minor e”, per volere del compianto Massimo Bordin, la voce di Radio Radicale che fu il bersaglio più grosso della stagione di tagli di Crimi. Lei, invece, ha perso la prima fila a Roma: non è rientrata in Parlamento perché nel 2018 ha tentato, invano, di sfidare Nicola Zingaretti alla guida della regione Lazio. Eppure, da capogruppo alla Pisana, ha menato ogni volta che ha potuto. Contro Di Maio e la gestione verticistica del Movimento. E contro chi, di nuovo Di Maio, si opponeva alla nascita del governo con i dem. Lei ci ha creduto al punto da tentare, di nuovo invano, di legare le sorti dell’esecutivo al soccorso del fragile equilibrio numerico che il segretario Pd aveva in Regione.
Oggi si ritrovano sulla stessa barca, di nuovo in tempesta. E come allora si presero la briga di condizionare le trattative del governo mai nato di Bersani, oggi tocca a loro orientare la transizione del M5S cresciuto in fretta di Luigi Di Maio. Sono passati sette anni. Di solito, è quello della crisi di coppia. Vito e Roberta, invece, tornano insieme.