Il dopo Matteo: il capo dei vescovi in Senato parla di migranti col ministro dell’Interno
Il convegno Larmogese: “Basta odio”. Il cardinale Bassetti: “Accogliere è sacro”
“Qualche vescovone e qualche giornale cattolico non rappresentano l’animo dei cristiani”, disse un anno fa Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno, in un momento di irrefrenabile esaltazione nella perenne campagna elettorale sui migranti. Ieri il cardinale Gualtiero Bassetti, il capo dei “vescovoni” italiani, era l’ospite d’onore in sala
Koch del Senato assieme al prefetto Luciana Lamorgese, ministro dell’Interno che centellina le apparizioni pubbliche, a parlare di accoglienza e integrazione dei migranti, in un convegno organizzato da ll ’ ente nazionale del microcredito e ispirato al messaggio di papa Francesco per la giornata mondiale dei rifugiati. Per la prima volta il presidente della Conferenza episcopale italiano ha varcato l’ingresso di palazzo Madama e visitato l’emiciclo, è successo col cardinale Bassetti accompagnato dal ministro Lamorgese. E poi dicono che in Italia le cose politiche e religiose siano immutabili.
Al contrario, in questa fase di governo dopo Salvini e per alcuni prima di Salvini, la Chiesa tenta di rientrare nel dibattito politico e lo fa con un costante dialogo con l’esecutivo in carica. Questo accade nei giorni in cui Salvini, non più ministro dell’Interno e però sempre in campagna elettorale, citofona a un tunisino per chiedergli se spaccia droga e proprio i senatori (tanti i presenti ad ascoltare Bassetti) sono chiamati a decidere se mandare a processo il leghista per il caso Gregoretti, la nave militare con migranti a bordi che restò ferma nel porto di Augusta per il divieto di sbarco imposto dal medesimo Salvini.
NEL MONDO ITALIANOche s’è presto rovesciato da un lato e non è detto che non si rovesci di nuovo dall’altro, il cardinale Bassetti è andato sul terreno di Salvini: “La contrapposizione ‘porti chiusi’ o ‘porti aperti’ è un falso dilemma. Si tratta piuttosto di capire – ha aggiunto – cosa succede a queste persone una volta arrivate nel nostro Paese. Non riusciamo neanche a dare compimento ai primi due verbi indicati dal Papa: accogliere e proteggere. Occorre, a mio avviso, non avere timore di ribadire che ogni vita è sacra e, se in pericolo, va salvata sempre. E basta ghetti, bisogna agevolare i percorsi per la cittadinanza”. Per non essere tacciato di facile buonismo, Bassetti ha precisato che il fenomeno migratorio tocca l’Europa intera: “È doveroso realizzare una condivisione delle responsabilità tra tutti i Paesi europei, che faccia sì che i compiti non ricadano solo sui Paesi di primo arrivo: questo obiettivo va perseguito in sede politica, e mai può portare al rifiuto del soccorso e della prima accoglien
La Chiesa non vuole più ghetti per chi arriva, ma un percorso più agevole per la cittadinanza
za di chi è in pericolo”. Il ministro Lamorgese, con un linguaggio più pragmatico, ha affrontato la complessità dell’argomento dal punto di vista di chi deve garantire la sicurezza pubblica e perciò ha ricordato che l’integrazione dei migranti può compiersi soltanto con un “patto di convivenza”: garantire esistenza dignitosa agli stranieri che devono aderire ai valori fondamentali della società italiana. In senso più ampio: “L’accoglienza non ammette semplificazioni e scorciatoie, la gestione della migrazione rappresenta una sfida epocale e non si può pensare di limitarsi ai numeri degli arrivi. Nessuna integrazione è possibile prescindendo dal principio costituzionale di eguaglianza. Bisogna porre molta attenzione alle seconde generazioni: devono sentirsi integrate. I giovani ritengono di essere già parte di una comunità”.
LAMORGESE ha concluso il suo intervento con un appello contro i predicatori dell’odio: “Siamo quasi al 27 gennaio, Giorno della memoria. Vorrei che ci sia una presa di distanza da linguaggi di intolleranza che oggi troppe volte sentiamo. E per evitare quello che il nostro Paese ha consentito dal ’38 in poi (le leggi razziali, ndr), vorrei che venisse riconosciuto come inaccettabile questo linguaggio che genera contrapposizione. Rappresenta un attacco ai principi di quella che è la nostra democrazia”.