Bezos da Ryad: 007 sauditi spiavano il telefono del boss
WhatsApp letale Quattro mesi prima di eliminare Khashoggi, dissidente e giornalista del Post, gli arabi erano entrati nel telefono del suo editore
Se la fonte non fosse Stephanie Kirchgaessner, corrispondente da Washington dell’autorevole Guardian, questa storia sembrerebbe il plot fantasioso di un film di spionaggio internazionale. Se si rivelerà tutto vero, le ripercussioni internazionali sono imprevedibili. Primo maggio 2018. Jeff Bezos, miliardario americano proprietario di Amazon e del Washington Post, sta chattando su Whatsapp con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Si sono conosciuti un mese prima a una cena, parte del tour americano con cui MbS cerca di convincere i grandi del mondo di essere il nuovo volto illuminato e modernizzatore del regime saudita.
DA BIN SALMAN, BEZOS riceve un video. Secondo gli esperti, è “altamente probabile” che contenga un malware, un virus, che si installa sul suo telefonino e ruba dati. Forse lo stesso prodotto dalla società israeliana Nso Group, che fra aprile e maggio 2019 infettò, presumibilmente per conto di governi autoritari, 1400 utenti di Whatsapp, fra cui giornalisti, attivisti dei diritti umani e accademici. Da qui in poi si possono solo mettere in fila alcuni fatti, e spetta agli investigatori stabilire se siano correlati. Il primo: 5 mesi dopo, il 2 ottobre, il dissidente giornalista saudita ed editorialista del Washington Post Jamal Khashoggi entra nel consolato saudita di Istanbul. Lo aspetta una squadra di 15 killer, che lo uccidono e smembrano il cadavere. La sua agonia viene registrata e rivelata alla stampa dalle autorità turche. Lo scandalo è enorme e arriva dritto a Bin Salman.
A novembre, sulla base di fonti di intelligence, la Cia determina che è stato il principe a ordinare l’omicidio di Khashoggi, i cui informati editoriali sul Washington Post disturbavano la narrazione di una nuova Arabia Felix. Prima di essere ucciso, il giornalista sarebbe stato spiato dal governo saudita anche grazie al malware di Nso. Il principe nega di essere il mandante, ma si assume la responsabilità politica dell’omicidio. Almeno formalmente, i rapporti fra il regno e la comunità internazionale si congelano.
Il secondo: il 10 gennaio 2019 il tabloid americano The National Enquirer pubblica u
JAMAL KHASHOGGI entra nel Consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre 2018. Da allora si perdono le sue tracce
IL PROCESSO Per il suo omicidio Ryad accusa 11 persone e ne condanna 5, escluso l’ex consigliere del principe ereditario Mohammed bin Salman: per gli Usa è il mandante dell’omicidio del giornalista del Post na lunga inchiesta sulla relazione extraconiugale di Jeff Bezos con Laura Sanchez. Scoop che gli costa il matrimonio (e metà del patrimonio in alimenti). Fra i dettagli, messaggi telefonici intimi, mandati dal proprio telefono personale. Ottenuti come? Bezos scopre che la società America Media Inc, proprietaria deltabloid, e il suo amministratore delegato David Pecker sono indagati, oltre che per aver favorito la campagna elettorale di Trump impedendo a suon di dollari la pubblicazione di storie compromettenti per il candidato, anche per “una serie di azioni per conto del governo saudita”.
La scheda
IL 7 FEBBRAIO 2019, Bezos rivela online di aver subito un tentativo di estorsione da Ami: smetti di indagare sui sauditi o pubblicheremo altro materiale compromettente. Rifiuta. Il giorno dopo il governo saudita nega ogni coinvolgimento nella pubblicazione; American Media dichiara di aver avuto i dettagli dal fratello della Sanchez. Riyad non ha ancora risposto alle rivelazioni del Guardian, ma l’Ambasciata saudita a Washington le ha definite “assurde” e ha sollecitato una inchiesta per fare chiarezza.
Il primo ricatto
Il malware rubò anche i messaggi e le foto tra il magnate e l’amante diffusi dall’Enquirer
Inchiesta che ieri hanno richiesto anche gli investigatori delle Nazioni Unite per i diritti umani Agnes Callamard e David Kaye.
Secondo il loro rapporto, le prove trovate nel telefono di Bezos “suggeriscono il possibile coinvolgimento del principe ereditario nella sorveglianza di Mr. Bezos, nel tentativo di condizionare, se non mettere a tacere, la copertura giornalistica del Washington post sull’Arabia saudita”.