IL SERVIZIO PUBBLICO DEL POTERE: VESPA
Lo spot di Salvini che nell’ora di massimo ascolto tra il primo e il secondo tempo di Juventus-Roma invoca su Rai1 il voto per la Lega in Calabria e in Emilia Romagna, perché così ci saranno nuove strade, una sanità che funziona, posti di lavoro, etc…, è l’ennesima gaffe ( gaffe?) dell’i neffab ile Bruno Vespa o l’ultimo avvelenato frutto di una totale disattenzione della pubblica opinione e della politica verso un tema sensibile come quello del pluralismo in tv?
PRIMA DI CHIEDERCI, allora, come sia stato possibile che nessun direttore di rete o di testata si sia preoccupato in Rai, in prossimità di un voto così potenzialmente destabilizzante, di passare al vaglio le trasmissioni, gli ospiti, le modalità di promozione, (considerato anche lo scempio dei mesi scorsi) per evitare di mandare in onda un promo che diventa uno spot elettorale per la Lega; prima di chiederci se Vespa, che di solito lancia il suo programma titolando gli argomenti e annunciando gli ospiti, abbia subdolamente pensato, con quel promo che dava la parola al leader leghista, di fare un favore a quel partito o piuttosto si sia distratto (in ogni caso un fatto grave per uno come lui); prima di chiederci, infine, se sia possibile che nessuno debba pagare, che non ci sia un responsabile per tutto questo, dobbiamo constatare che purtroppo il politico Salvini, grazie alla compiacenza di chi dovrebbe vigilare, e il giornalista Vespa non sono affatto nuovi a queste performances.
Per esempio il leader leghista comparve per tre settimane di fila proprio a Porta a Portanel mese di ottobre, in piena campagna elettorale per l’Umbria, complice anche il “duello” con Renzi, ma senza che nessuno battesse ciglio. Sempre Vespa riuscì ad ospitarlo all’inizio del 2019 per tre volte in un mese, il 10 gennaio e il 31, e poi l’11 febbraio: il solerte conduttore gli fece chiudere il suo programma prima dello stop sanremese e lo riportò sulla scena alla prima puntata utile dopo la chiusura del Festival. Sia chiaro, non è che avesse fatto diversamente con Renzi, ai bei tempi, o con Berlusconi che ospitava con una tale frequenza e deferenza che uno di solito compassato come l’allora presidente della vigilanza Rai, Petruccioli, una volta sbottò comunicandogli “sconcerto e ripulsa” per una puntata, sotto elezioni (le Europee del 2004), in cui l’aveva lasciato parlare ad libitum. Per inciso, un gigante Petruccioli, se oggi pensiamo che alla vigilanza c’è Barachini, voluto, ahinoi, anche dai Cinquestelle, già alle dipendenze Mediaset e del quale sinora non si è avuta prova dell’esistenza.
Però forse non è nemmeno giusto infierire su un professionista il cui curriculum è pure pieno di “attenzioni” non (giornalisticamente) dovute verso gli “editori di riferimento” (leggi il potente di turno). Perché, malauguratamente, non ci sono solo la Rai e Vespa. C’è, ad esempio, il “lavoro sporco” fatto da Mediaset e in particolare da Rete4 (ma anche i l Tg5 non scherza) a sostegno della destra, un “lavoro” svolto senza nessuna vergogna visto che negli ultimi tre mesi del 2019 i talk della rete hanno concesso la parola quasi sempre a loro esponenti. Stiamo esagerando? Nemmeno per sogno, basta andare a vedere le tabelle dell’Agcom. Tra ottobre e dicembre, dunque, leggendo nel dettaglio le suddette tabelle e facendo di conto, non ci vuol molto ad accorgersi che nel periodo in questione su Rete4 si è celebrata una rappresentazione politica che per faziosità e devastazione di ogni elementare regola pluralistica va al di là dell’immaginabile: il minutaggio dei singoli nei talk della rete ci offre uno spettacolo raccapricciante. Infatti a parlare sono praticamente solo in tre: Salvini, con oltre sei ore, poi Meloni e Sgarbi (candidato con la destra in Emilia) con quasi tre ore a testa. Tutti gli altri racimolano solo una manciata di minuti: i 45 di Casini, i 42 di Di Maio, i 41 di Toti (ancora destra!), i 40 di Roberto Castelli (come se non bastasse Salvini!), i 38 di Mastella, i 36 della Boschi. Per sovrappiù ci sono per la Lega altri 49 minuti appannaggio della Borgonzoni nel solo mese di dicembre, che in piena par condicio regionale (è scattata il 7 dicembre) quasi doppia Bonaccini (i talk di Rete4 gli concedono 28 minuti).
DA TEMPO, DUNQUE, si è passato il limite. E ogni decenza. Per rubare la metafora a Bersani, potremmo dire che la mucca dal corridoio si è spostata in video e da lì sembra non si voglia allontanare. Forse per Pd e M5S è giunto allora il momento di fare della questione sul pluralismo in tv una battaglia politica. Seria e forte. Di lotta e di governo.