COME AL CIRCO: O CAMBI SHOW O SE NE VANNO
IL “VECCHIO” SALVINI L’immagine dell’Emilia Romagna come una specie di periferia di Calcutta non era credibile nemmeno per chi lì non c’è mai stato
C’è un piccolo paradosso conficcato nelle elezioni emiliane che hanno steso al tappeto il mangiasalsicce del Sacro Cuore di Maria. E il paradosso è questo: nelle elezioni locali più nazionali che si siano mai viste, le più politiche, le più ideologiche, se mi passate il termine un po’ impegnativo per la Borgonzoni, ha vinto alla fine chi ha “nazionalizzato” meno la sfida, chi ha parlato di cose sensate, possibili, concrete.
OSSERVATE DA FUORI, da non emiliano-romagnolo, le forze in campo erano soverchianti in modo addirittura imbarazzante per copertura dei media (una citofonata di Salvini valeva come mille incontri pubblici di Bonaccini), questo al netto dei prevedibili leccaculismi e della piaggeria scoperta e manifesta, addirittura garrula ed entusiasta. In un Tg (?) Mediaset, un’intervista a Salvini si è conclusa con la richiesta di firmare il vetro della telecamera, come fanno i tennisti famosi a fine match, per dire. Aggiungerei il paradosso del candidato governatore impagliato, che sta appollaiato sulla spalla del capo come i pappagalli dei pirati.
Sia messo a verbale: l’Em ilia-Romagna è caso particolarissimo, a sé, non può (e non deve) fornire indicazioni su tutto il resto del Paese. Però conferma una tendenza nazionale, o almeno la evidenzia: le narrazioni troppo spinte, lo storytelling estremo, la prevalenza della recita teatrale sul contenuto effettivo, pagano molto nell’immediato e poi poco, o pochissimo in prospettiva. È anche divertente seguire quello là che fa il digiuno, che citofona, cha fa colazione, pranzo, cena, che si traveste prima da poliziotto, poi da intellettuale con la giacca di velluto, le felpe, le ruspe, il mojito, la “liberazione” dell’Emilia-Romagna, coi bambini, senza bambini, con la bambina di Bibbiano che poi non è di Bibbiano, ma va bene lo stesso. Capisco bene il fascino del circo, quel momento di sospensione in cui ti chiedi: e ora entrerà l’elefante o il giocoliere monco? O il clown suonerà un citofono? Ecco, bene. Poi, però, quando devi decidere a chi dare in mano gli ospedali, per dire, voti Bonaccini e non quella che dice che chiudono di notte, il sabato e la domenica. In generale, insomma, trovo strabiliante non tanto che si equipari la politica allo spettacolo (una cosa vecchissima che ci ha insegnato per decenni nonno Silvio), ma che i politici pretendano di sfuggire alle leggi spietate del mondo dello spettacolo dove, almeno un pochino, bisogna essere credibili. Puoi inventare la storia che vuoi, se fai narrazione, ma deve almeno un po’ assomigliare al vero. L’immagine dell’Emilia-Romagna come una specie di periferia di Calcutta che Salvini e la destra hanno cavalcato per mesi non è credibile nemmeno per chi lì non c’è mai stato, è un’esagerazione grottesca, è un numero di cabaret, di quelli troppo reiterati, insistiti, sfilacciati dall’uso.
Insomma, Salvini, che era nuovissimo, a un certo punto è sembrato vecchio, già visto. Non è la prima volta che succede, come sa bene l’altro Matteo.
SAREBBE sconsideratamente ottimistico trarre qualche conclusione a livello nazionale dallo spettacolino emiliano ( e dare per finito Salvini sarebbe l’errore più grave), ma il dato è abbastanza chiaro: personalizzare, trasformare un’elezione in un referendum, mettersi in primo piano con in mano il rosario o il cotechino, può funzionare la prima volta, forse la seconda, ma poi bisogna un po’ cambiare repertorio, come gli attori di telenovelas che a un certo punto si mettono a fare Beckett in teatro, e questo Salvini non lo potrà fare. Settantamila persone che lo avevano votato otto mesi fa questa volta non l’hanno fatto, e si capisce dunque la difficoltà del capopopolo che vede andarsene un po’ di popolo, pubblico che abbandona la sala, proprio mentre lui fa sforzi sovrumani, inventa nuovi numeri ed è al clou dello spettacolo.