“Aiuto, il mio vicino ha la tosse” Il contagio della coronapsicosi
Boom di chiamate d’emergenza, ristoranti e negozi cinesi deserti, scene al limite del comico sui mezzi di trasporto
“Pronto, 118? Il mio vicino cinese ha la febbre. Che faccio? Ho paura...”. Di casi conclamati di infezione da Coronavirus, a Roma, finora ce ne sono soltanto due, e sono riferibili alla coppia ospitata fino a giovedì sera al Grand Hotel Palatino. Ma la vera pandemia esplosa ieri nella Capitale riguarda la psicosi. Centinaia di telefonate ai numeri di emergenza, ristoranti e negozi gestiti da cinesi deserti, farmacie prese d’assalto per accaparrarsi mascherine e disinfettanti, falsi allarmi e veri e propri episodi di razzismo. Il clou nel rione Esquilino, da anni punto di riferimento della comunità cinese romana, che anche Google ormai indica come “China Town”. Dopo l’annuncio in diretta tv del premier Giuseppe Conte, arrivato nella tarda serata di giovedì, il centralino della sala operativa del 118 è letteralmente esploso. Un negozio vicino a Fontana di Trevi, ha addirittura appeso un cartello con la scritta: “Vietato l’ingresso ai cinesi”.
FARMACIE E OSPEDALI
Attacchi di ipocondria
I dati del Nue 112 del Lazio, a ieri pomeriggio, segnavano + 12% di telefonate. In gran parte consigli, ma anche qualche caso di ipocondria acuta. Ieri pomeriggio, intorno alle 13, un bengalese di 34 anni si è accasciato a terra all’ingresso dell’Hotel Galatea di via Genova, a due passi dalla stazione Termini. Aveva la febbre alta e ha chiamato l’ambulanza. “Ho a che fare con cinesi che vanno e vengono dalla Cina”, ha detto agli infermieri, giunti sul posto vestiti con tuta protettiva. Una volta portato all’ospedale Spallanzani, si scoprirà che i cinesi con cui era entrato a “stretto contatto” erano quelli del bar dove faceva colazione. Presi d’assalto anche gli studi dei medici di famiglia. “Non c’è informazione da parte della politica”, attacca Giuseppe Longo, titolare dell’omonima farmacia di Piazza Vittorio Emanuele, centro nevralgico della “Chinatown” romana: “La gente non sa che le mascherine non servono a nulla? Io ne sto vendendo a decine, le regalerei se me le fornissero”. Il quartiere da tempo non brilla in quanto a decoro fra escrementi umani scarti sanitari gettati fra le colonne del prestigioso portico ottocentesco. “Ci dicono di seguire le norme di igiene e poi guardate che schifo”, dice Letizia Cicconi, del comitato di quartiere Esquilino, annunciando di aver scritto alla sindaca Raggi e al governatore Zingaretti
BUS E METRO
“Chissà cosa avete”!
Psicosi che si sta manifestando soprattutto sui mezzi di trasporto. A contribuire, l’usanza diffusa fra le popolazioni orientali (poco nota in Europa) di indossare la mascherina come “buona creanza”. E così su un pullman diretto da Roma a Perugia, quando due ragazze giapponesi si sono addormentate, gli altri passeggeri hanno chiamato il 118. “Ci sono due cinesi con la mascherina, non si muovono”. “Si saranno addormentate, provate a scuoterle”. “No, noi non le tocchiamo”. Risultato? È dovuta intervenire una pattuglia medica, in piena autostrada, per misurare la febbre alle due povere ragazze assonnate. Non è tutto. Sempre ieri un gruppo di asiatici ieri ha cercato di salire a bordo di un bus della linea 60 dell’Atac, all’altezza di piazza della Repubblica, ma alcuni passeggeri avrebbero fatto muro: “Qui è pieno, e chissà che c’avete...”. Ne è nato un alterco, con tanto di telefonata al 112, con l’autista che ha provato anche a mediare: fortunatamente è arrivato un altro autobus a riportare la “pace ”. “Anch’io sono stata discriminata”, racconta una signora di origini cinesi, ma in Italia da 30 anni: “Stamattina ero in treno, una signora si è alzata e mi ha urlato addosso. Da anni non torno in Cina. È stato terribile. Abbiamo paura quanto voi di questo virus”.
RISTORANTI E NEGOZI
“Vuoti da una settimana”
Ma il vero allarme riguarda gli esercizi commerciali dei cinesi che, al di là dei luoghi comuni, producono un indotto importante nell’economia romana. Secondo la Fipe-Confcommercio, in circa 5 mila ristoranti in città si registra una perdita di fatturato del 70%, circa 2 milioni di euro al giorno. “Qui è una settimana che il ristorante è vuoto”, racconta uno dei camerieri che lavora al ristorante Hang Zhou, per tutti “Da Sonia”, forse il più popolare della Capitale. “Per questo fine settimana abbiamo pochissime prenotazioni – dice – quando di solito nel weekend siamo sempre pieni”. In via Principe Eugenio, al Caffè Romano, per tutta la mattina il personale ha servito con tuta e mascherine: “Vi giuro che era uno scherzo – dice dispiaciuto il titolare – ce l’avevamo con un giornale che ha titolato ‘L’Esquilino trema’. I miei amici cinesi si sono offesi, ma non era mia intenzione”.
GLI ALBERGHI
“Un calo fisiologico”
Psicosi che colpisce anche gli alberghi. “Stiamo registrando un calo fisiologico”, dice Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Lazio: “In parte si deve al blocco dei voli, in parte allo stop dell’arrivo dalla Cina e in altra parte a una certa psicosi che si sta svilupp an d o ”. Da ieri mattina, il personale alberghiero è obbligato a seguire un rigido protocollo: “Mascherine e guanti per tutti gli inservienti, e un numero verde dedicato a noi per segnalare casi sospetti”. Protocollo che non è servito a Marian per rappresentare, per qualche ora, il “terzo caso sospetto a Roma”. Operaio al Grand Hotel Palatino – lo stesso della coppia infetta – giovedì intorno alle 17 si è recato al pronto soccorso di Tivoli dicendo di avere la febbre e di essere entrato a contatto con i due turisti cinesi ricoverati: l’infermiera sul referto del triage ha scritto “sospetto Coronavirus” e ha chiamato lo Spallanzani. In realtà, Marian, i due cinesi, non li aveva nemmeno mai incrociati.
Sul bus numero 60 Panico a bordo per due giapponesi con mascherina addormentate