Precariato record: cosa dicono davvero i dati
Instabili ai massimi, ma nel 2019 salgono di soli 45mila: erano stati +314mila nel 2017
C’è
un primato, è vero: il numero dei precari in Italia è arrivato ai suoi massimi storici superando quota tre milioni, come sottolineato da ogni parte negli ultimi giorni dopo i dati rilasciati dall’Istat. Eppure, analizzandoli meglio, viene fuori una novità non meno importante: l’aumento dei lavoratori a termine è stato molto minore rispetto agli anni scorsi.
A DICEMBRE 2019, infatti, gli occupati a tempo determinato sono aumentati di 45 mila unità mentre nelle annate precedenti il lavoro “a termine” aveva vissuto avanzate ben più rapide. Record per record, va detto che anche i posti a tempo indeterminato hanno di recente superato le vette pre-crisi. Sullo sfondo, la vera debolezza: la mole di contratti part time, spesso “involontari”, che contribuiscono a riversare troppi lavoratori (il 12,2% secondo l’Eurostat) nel rischio di povertà.
Il 2019 è stato sotto osservazione soprattutto per il decreto Dignità che – a partire da novembre 2018 – ha reso meno convenienti i contratti a termine. Si sono così intensificate le stabilizzazioni, tendenza iniziata già da gennaio 2018 che poi ha accelerato sulla spinta delle nuove norme. Contestualmente, le aziende hanno ridotto le assunzioni rispetto ai numeri considerevoli degli anni precedenti. Esempio: tra dicembre 2016 e dicembre 2017, finiti gli sgravi per i contratti stabili connessi al Jobs Act, gli occupati a tempo determinato erano aumentati di 324 mila unità. Il numero è aumentato durante tutto l’anno, tanto che a dicembre 2018 se ne contavano 213 mila in più. Progressioni ben lontane, quindi, dalla lieve crescita di fine 2019 che ha solo segnato l’ultimo miglio del record.
Che è successo, invece, ai posti
“f is si ”? Anche questi sono aumentati e a giugno 2019 sono arrivati a 15 milioni e 53 mila, superando per la prima volta il record di luglio 2008 (quando erano 15 milioni e 25 mila). A novembre hanno compiuto un nuovo sorpasso, portandosi a 15 milioni e 74 mila. Poi a dicembre hanno messo la retromarcia e, in un solo mese, sono calati di 75 mila. Capita spesso che, a fine anno, le aziende non assumano a tempo indeterminato, aspettando gennaio per programmare gli inserimenti di personale. Prassi che fa sperare in un recupero di inizio 2020.
Anche i lavoratori indipendenti, le cosiddette “partite Iva”, a dicembre 2019 hanno a loro modo riscritto la storia, arrivando al minimo (5 milioni e 255 mila). Cifre che sembrano contraddire
Matteo Salvini quando parla di un “boom” di persone messe in proprio dopo l’introduzione della flat tax fino a 65 mila euro.
A PRESCINDERE dalla stabilità dei rapporti, c’è il problema della loro sostanza. Ben 4,4 milioni di persone hanno un impiego part time, e di questi 2,8 milioni ne vorrebbero uno a tempo pieno. Nel terzo trimestre 2019, le ore lavorate sono state 11 miliardi, circa 600 milioni in meno rispetto al pre-crisi. Il tasso di occupazione cresce perché si riduce la platea di persone in età lavorativa. I disoccupati sono 2,5 milioni. “Lavorare meno” non sta coincidendo con “lavorare tutti”, ma solo con produrre meno e guadagnare meno.