Il virus danneggia il made in Italy: giù turismo e moda
Catene distributive a rischio e gli albergatori stimano danni per 1,6 miliardi. Enormi quelli dei beni di lusso
Se la Cina ha la febbre anche l’Italia non sta bene. L’epidemia di coronavirus 2019-nCoV partita da Wuhan nello Hubei non è solo un problema sanitario ma anche economico. Secondo il centro di ricerca britannico Oxford Economics citato dalla Bbc è presto per quantificare gli effetti, perché molto dipenderà dalla capacità di contenere il virus. In ogni caso però nel primo trimestre di quest’anno l’economia cinese crescerà meno del 4% rispetto allo stesso periodo del 2019, con una stima sull’intero anno del 5,6% che, prima dell’epidemia, era del 6%. Il tutto dovrebbe impattare sull’economia mondiale tagliando lo 0,2% alle attese di crescita: ma solo nell’ipotesi che si eviti lo “scenario peggiore”.
I CONTRACCOLPI si sentiranno anche nella Penisola. Il 23 marzo 2019 l’Italia è diventata il primo Paese del G7 a unirsi al progetto cineseBelt and Road Initiative. In quell’occasione aziende cinesi e italiane hanno firmato 10 accordi per un valore dai 5 ai 20 miliardi di euro nell’energia, acciaio e gas naturale con nuovi investimenti in Cina di Eni, Leonardo, Fincantieri e i loro fornitori e subfornitori. Il 7 novembre l’Autorità portuale dell’Adriatico orientale e China Communications Construction Company ( Cccc) hanno poi stretto un accordo per creare piattaforme logistiche collegate al porto di Trieste.
Ma i legami tra i due Paesi sono già forti. Secondo l’ultimo report di Fondazione Italia-Cina e Cesif, in Cina e a Hong Kong ci sono quasi 2mila imprese italiane con 190mila addetti e un fatturato di 36 miliardi. Dai primi anni Duemila sono cresciute di sette volte, specie sul fronte produttivo, perché prima due terzi delle aziende italiane in Cina aveva solo uffici commerciali.
In Cina Fca da fine 2015 produce i modelli Jeep Cherokee e Renegade. Ma uno degli impianti europei potrebbe dover interrompere la 2-4 settimane a causa di problemi di approvvigionamento da quattro fornitori cinesi dovuti al blocco causato dall’epidemia. Nei giorni scorsi stessa sorte era capitata a Hyundai mentre Volvo ha dovuto cambiare fornitore di batterie per i veicoli ibridi per non fermare la produzione. In Cina c’è Brembo, che dal 2016 controlla il produttore di freni Asimco Meilian Braking Systems e ad aprile 2019 ha inaugurato un nuovo stabilimento a Nanjing. C’è Ferrero con lo stabilimento a Hangzhou, inaugurato a fine 2015, che ha conquistato un quarto del mercato cinese dei prodotti in cioccolato. Da fine 2017 c’è Prysmian Group con lo stabilimento di Jiangsu. Dal canto loro i cinesi controllano Pirelli (100%) il 35% di Cdp Reti, il 2% di Intesa SanPaolo, UniCredit e Generali, il 40% di Ansaldo Energia e l’intera Candy.
D’altronde nel 2018 l’interscambio Italia-Cina ha toccato quota 43,9 miliardi: l’Italia è quarto fornitore tra i Paesi europei con export per 13,2 miliardi, tra cui formaggi, vino, gelati, caffé con i marchi Illy e Lavazza. Quanto all’import, l’Italia ha acquistati prodotti cinesi per 30,7 miliardi. Nei primi 9 mesi del 2019 invece l’export italiano in Cina è calato a 9,4 miliardi.
MA A SOFFRIRE di più i colpi del virus, nell’immediato, sono moda e turismo. Secondo la Camera nazionale della moda italiana, il settore perderà l’1,8% dei ricavi nella prima metà del 2020 per l’epidemia: un terzo dei consumatori globali di prodotti del lusso italiano è cinese e molti marchi hanno chiuso i negozi in Cina. L’Italia è seconda solo alla Francia per vendite di moda e beni di lusso in Cina, 90 miliardi nel 2019. “A dicembre le prospettive per il 2020 erano di ritorno al nostro tasso di crescita storico annuo dei ricavi di circa il 3%”, ha detto il presidente della Cnmi Carlo Capasa, “ma saremo fortunati se quest’anno cresceremo dell’1%”. Intanto le case cinesi Angela Chen, Ricostru e
Hui hanno cancellato le sfilate alla settimana della moda femminile di Milano di febbraio e un migliaio tra giornalisti e acquirenti cinesi non si presenteranno.
Secondo elaborazioni di Cst per Assoturismo Confesercenti, se e solo se i contagi si stabilizzeranno entro marzo la stima più ottimistica fa prevedere - 30% per le presenze di turisti cinesi e oltre - 6% per i turisti stranieri in Italia con un incremento del 2,5% delle presenze italiane. I flussi del 2020 potrebbero segnare un calo di 1,6 milioni di cinesi e di circa 11,6 milioni di altri turisti stranieri, con una flessione complessiva a fine anno del 3,3%. Le regioni più colpite saranno Lazio, Toscana, Veneto e Lombardia che insieme raccolgono oltre l’80% dei pernottamenti dei cinesi. Gli incassi turistici potrebbero calare di 1,6 miliardi ma i contraccolpi si sentirebbero anche sul Made in Italy: ogni turista cinese nel 2018 aveva fatto acquisti per 1.167 euro in Italia.
Ma il virus causa anche altri danni. Secondo Deutsche Welle, 3.012 delle 39.242 attività commerciali di Milano sono di residenti nati in Cina senza calcolare quelle dei cinesi di seconda generazione. Dunque oltre il 13% dei negozi al dettaglio è della comunità cinese e il quartiere di Chinatown era quello che faceva segnare gli aumenti maggiori di valori immobiliari. La psicosi del contagio colpisce l’Italia anche in altri modi.
Primi effetti
Se va bene -30% di arrivi da Pechino I big asiatici disertano le sfilate milanesi