Dell’“American Beauty” è rimasto solo Mendes
Toto-Oscar Dopo vent’anni “1917” è il favorito, ma nel frattempo sono sprofondati Kevin Spacey e la Miramax di Weinstein
Comunque vada, qualcosa è cambiato. Domenica notte Sam Mendes potrebbe bissare con 1917 la statuetta per la regia di American Beauty, ma gli Academy Awards e Hollywood non sono più quelli di vent’anni fa.
Back in the days, 26 marzo del 2000, la settantaduesima Notte degli Oscar, officiata per la settima volta da Billy Crystal allo Shrine Auditorium di Los Angeles: domani la novantaduesima cerimonia (diretta dalle ore 22.45 su Sky Cinema Oscar e in chiaro dalle 23.50 su TV8) sarà senza presentatore, ma la DreamWorks (Amblin) che conquistò con American Be
auty ben cinque premi potrebbe replicare.
1917, il cavallo di battaglia di Steven Spielberg contro l’odiata Netflix che compete con The Irishman di Martin Scorsese, parte con dieci nomination e il favore dei pronostici, nondimeno l’effetto
d é jà - v u è parziale, di più, manchevole. Se Mendes si laureava, sesto nella storia degli Academy Awards, Best Director al primo film e, nostalgia canaglia, sul tappeto rosso Brad Pitt e Jennifer Aniston sfilavano insieme, il patron di Miramax Harvey Weinstein, reduce dall’inaspettato successo di Shake
speare in Love dell’anno precedente, dettava legge e spendeva milioni di dollari in promozione sfidando DreamWorks e Kevin Spacey, dopo quella da non protagonista per I soliti sospetti, alzava la statuetta da protagonista per l’uomo di mezz’età infatuato dell’amica della figlia in Ameri can
Beauty.
V EN T ’ANNI DOPO, l’u om o che ha messo lo zampino in venti titoli nominati all’Oscar, da Pulp Fiction del 1994 a Lion del 2016, di cui cinque vittoriosi ( Il paziente inglese, Shakespeare in Love, Chicago, Il Signore degli Anelli – Il
ritorno del re e Il discorso del
re ), sta alla sbarra a New York per la supposta violenza sessuale ai danni di due donne: del Dio ( co pyri ght Meryl Streep) che fu non v’è traccia, nemmeno del Punisher che si vantava d’essere, oggi Harvey Scissorhands ha mollato le cesoie per il deambulatore. Oramai più avvezzo alle aule che al set è anche Spacey, pluri-indagato per abusi sessuali: per ora sta tenendo fede al suo inquietante videomessaggio natalizio del 2018 “Se non ho pagato per quello che ho fatto, di sicuro non pagherò per quello che non ho fatto”, ma anche lui è fuori dai giochi.
In due decenni è cambiato un mondo, si sono dissanguati gli ascolti televisivi (dai 46 milioni del 2000 ai 30 del 2019), sicché la guerra, meglio, la lotta per la sopravvivenza inquadrata da 1917non è metaforicamente peregrina: di quei giganti oggi ne rimane in piedi soltanto uno, Sam Mendes.
Quasi incontrastato, a dar retta ai bookmakers, per la migliore regia, salvo sorprese da parte del Quentin Tarantino di C’era una volta a… Hol
lywood o, attenzione, il Bong Joon-ho di Parasite. Il regista sudcoreano in realtà ha già vinto: dopo la Palma d’Oro di Cannes, una pletora di riconoscimenti Oltreoceano, dai Golden Globes a quelli di ben quattro sindacati (attori, sceneggiatori, montatori e scenografi), un expl oit sen za precedenti per un film straniero o, come si dice ora, internazionale.
Forte di un botteghino strepitoso (163 milioni di dollari a fronte degli 11 di budget), Parasite staglia la propria ombra sulla statuetta più ambita, Best Picture, e che colpo sarebbe: per cinefili e fan che gridano poliglotti al capolavoro; per Cannes, che ritroverebbe la supremazia issando sulla vetta del mondo un film asiatico, laddove alla concorrente Mostra di Venezia riesce solo con americani e messicani; per Hollywood, che smaltendo la sbornia #OscarsSoBlack – e snobbando le quote rosa – si aprirebbe artisticamente e vieppiù commercialmente a Oriente. Ovvio, quello di Bong Joon-ho è il candidato più serio all’Oscar per il film internazionale, sebbene Penélope Cruz chiamata – se l’è lasciato sfuggire Almodóvar... – a premiare la categoria farebbe propendere per Dolor y gloria del suo Pedro..
NETFLIX A PIANGEREmiseria
e Tarantino ad accontentarsi della sceneggiatura originale e del non protagonista Brad Pitt, il campione di nomination Joker (11) è dato trionfante con il protagonista Joaquin Phoenix e la colonna sonora della islandese Hildur
Guðnadóttir: bene, ma non benissimo, anche se il Leone d’Oro di Todd Phillips l’impresa l’ha fatta al box office, con un miliardo e 71 milioni di dollari. Piccole donnedi Greta Gerwig per lo script non originale, sul versante attoriale femminile Renée Zellweger ha in tasca la statuetta da protagonista per Judy( Garland), l’aristocratica hollywoodiana Laura Dern quella da non per Marriage Story.