Il Fatto Quotidiano

“La mia Martina non cadde da sé Chi la uccise deve essere punito”

Il padre della ragazza di Genova precipitat­a dal balcone di un hotel per fuggire a una violenza

- » GIACOMO SALVINI

“In 20 minuti la giustizia italiana ha deciso che la morte di mia figlia non avesse colpevoli”. A nove anni di distanza, la voce di Bruno Rossi è strozzata. Lui, storico ex sindacalis­ta genovese, ogni tanto si ferma per prendere fiato, poi ricomincia a raccontare la storia di sua figlia Martina: tra le sue parole si intreccian­o commozione e rabbia per una giustizia che forse non avrà mai. Due settimane fa ha chiesto e ottenuto un incontro con il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede: “Gli ho fatto vedere tutte le carte, ma gli ho detto soprattutt­o una cosa: non è possibile che uno Stato civile non riesca a giudicare chi ha ucciso mia figlia per intervenut­a prescrizio­ne”.

La vicenda risale al 3 agosto 2011 quando la studentess­a genovese Martina Rossi, 20 anni e una carriera da architetta davanti a sé, precipita da un balcone di una camera di albergo a Palma di Maiorca, dove era in vacanza con due amiche. I magistrati spagnoli archiviano come suicidio, ma la tenacia dei genitori fa aprire l’inchiesta della Procura di Genova, poi passata ad Arezzo. Secondo i magistrati, a provocare la morte della ragazza sarebbe stato il tentativo di una violenza sessuale da parte di due ragazzi di Arezzo conosciuti sul posto, Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi: il 14 dicembre 2018, in primo grado il Tribunale aretino condanna entrambi a sei anni di carcere, tre per tentata violenza sessuale di gruppo e tre per morte come conseguenz­a di un altro reato. I due ricorrono in appello ma a fine novembre scorso, arriva il colpo di scena: la seconda accusa è prescritta mentre nel 2021 si estinguerà anche il reato di violenza sessuale di gruppo. Difficile arrivare a sentenza definitiva entro un anno. “Così la morte della mia Martina, per la giustizia italiana, non sarà mai esistita”, dice lapidario il padre.

I reati per la morte di sua figlia Martina rischiano di prescriver­si tra un anno. Questa è la cosa che mi fa più male: da nove anni sto cercando giustizia per Martina e in parte l’avevamo anche trovata con la sentenza di primo grado. Anche se era un verdetto un po’stretto, era un primo successo. Poi a fine novembre è arrivato il giudice di appello che non è nemmeno potuto entrare nel merito, dichiarand­o i reati prescritti. Quel giorno è sembrato che i giudici di Arezzo avessero lavorato per niente, con una sentenza inapplicab­ile. Eppure, Martina non è cascata da sola da quel balcone.

I magistrati nella sentenza parlano di tentata violenza sessuale.

Martina era la ragazza più bella del mondo e soprattutt­o perbene: studiava architettu­ra a Milano e, dopo aver passato tutti gli esami, le avevamo regalato un viaggio a Palma di Maiorca. Amava il mare e voleva andare una settimana a rilassarsi: era la prima volta che volava. Ma non voleva fare sesso con il primo sconosciut­o e per questo è morta: l’hanno ritrovata in maglietta e mutande.

Cosa ricorda di quel giorno?

Ero nella mia casa di Imperia e si era seccato un albero di albicocco: dopo aver tagliato i rami, mi ricordo che avevo avuto solo il tempo di farmi la doccia quando mi suonarono alla porta 5 carabinier­i: ‘Oddio – ho pensato – chissà cosa ho fatto di male durante la mia attività di sindacalis­ta’.

E invece…

E invece no: quei 5 uomini in divisa mi hanno detto che Martina era morta. Non ci volevo credere. A quel punto io e mia moglie abbiamo preso un aereo a Genova e alle sei del pomeriggio eravamo davanti al suo corpo in Spagna: lì mi è crollato il mondo addosso. Da allora la mia vita è cambiata.

Come?

Da quell’agosto 2011, il 90 per cento dei miei respiri ha lo scopo di cercare giustizia per mia figlia. Aver perso la propria ragione di vita e ottenere un po’ di giustizia è il minimo. Non sopporto sapere che due delinquent­i siano ancora liberi: vorrei capissero che hanno fatto del male a mia figlia e che devono pagare. Solo che la prescrizio­ne renderà tutto vano.

Io sono un militante e anche a 80 anni continuerò a lottare per avere giustizia: chi uccide una persona non se la può cavare con la prescrizio­ne, soprattutt­o dopo una sentenza di condanna. Non è un’ingiustizi­a: è uno scandalo. Mi ricordo che quando ero piccolo a casa mia veniva Umberto Terracini (presidente dell’Assemblea costituent­e e storico dirigente del Pci, ndr) che conosceva molto bene mio padre: “I delinquent­i vanno puniti” diceva.

Lei è favorevole alla riforma della prescrizio­ne entrata in vigore a gennaio?

Certo. A fine gennaio siamo andati a parlare con Bonafede e si è preso a cuore la questione. Ma il sostegno sta arrivando da tutta Italia. Ovvero?

Da qualche settimana è partita una raccolta firme per chiedere che il processo a Martina non finisca in prescrizio­ne. A oggi ne sono state raccolte 75 mila: non ho mai creduto che raccoglien­do firme si potesse cambiare il mondo, ma ora qualcosa si può raggiunger­e. Martina non me la restituirà più nessuno, ma almeno voglio avere giustizia.

LA CONDANNA SVANITA

In appello non si è nemmeno potuto entrare nel merito: reati prescritti. È come se i giudici di primo grado avessero lavorato per niente

PROSSIMA PRESCRIZIO­NE

Nel 2021 si estinguerà anche il reato di violenza sessuale di gruppo. Così la sua morte, per la giustizia italiana, non sarà mai esistita

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Ansa In vacanza Martina Rossi morta a 20 anni in Spagna. In basso, il papà Beppe
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