La Privacy stanga Tim: 900 mila euro di multa
Il colosso ha conservato i dati dei suoi 8 mila tecnici per 5 anni invece dei 6 mesi pattuiti
Quasi
un milione di euro di stangata: l’ha beccata Tim perché non ha trattato in modo trasparente i dati personali dei suoi 8 mila tecnici addetti alle installazioni e alle manutenzioni delle reti. Ha conservato le informazioni sui lavoratori molto più a lungo rispetto a quanto pattuito: cinque anni anziché sei mesi. Senza chiarire come funzionavano gli algoritmi che regolano la distribuzione dei compiti e i premi economici. Insomma, non ha dato comunicazioni complete ai dipendenti sul modo in cui ha usato i dati e il Garante della Privacy ha multato il colosso delle telecomunicazioni con 900 mila euro.
Il ricorso della Slc Cgil è di giugno 2018. A fine 2017 la Tim, dopo aver avuto l’ok dell’Ispettorato del lavoro, aveva avviato il controllo a distanza dei suoi “tecnici on field”, che non lavorano in sede ma – appunto – “sul campo”.
TIM, PERÒ, è andata oltre il consentito: “La società – si legge – ha effettuato trattamenti di dati personali con il nuovo sistema di Work Force Management provvedendo a conservare i dati raccolti, per cinque anni, previo rilascio di un’informativa ai dipendenti nella quale è indicato il diverso termine massimo di conservazione pari a sei mesi”. Tim si è difesa dicendo che solo in poche “casistiche particolari” quelle informazioni sarebbero state tenute per un tempo superiore, ma non ha convinto il Garante, il quale ha definito “tutt’altro che infrequenti” le circostanze elencate, poiché contemplavano reclami dei clienti, infortuni, danneggiamenti e “non meglio definite analisi statistiche di trend”. Capitando spesso avrebbero legittimato la Tim a conservare i file con le profilazioni dei dipendenti per 5 anni.
Il sistema, ha detto Tim, tratta i dati anagrafici, il calendario turni, le attività del lavoratore (come la presa in carico, l’inizio e il completamento del lavoro) e la localizzazione Gps acquisita con lo smartphone. In varie occasioni, quindi, queste informazioni permettono di individuare il luogo in cui il tecnico si trovava.
FINORA, le geolocalizzazioni hanno funzionato solo quando gli addetti hanno comandato riparazioni di cavi, ma a breve permetteranno di controllare anche altre circostanze come l’inizio e la fine della pausa pranzo. Non sono attività illecite di per sé, ma Tim aveva mandato un’informativa ai suoi dipendenti dicendo che avrebbe conservato i dati per sei mesi e non cinque anni. “Un tempo che crea eccedenza rispetto allo scopo per il quale vengono raccolti”, ha detto Carlo De Marchis, tra i legali che hanno curato il ricorso. Tra l’altro, a dare ordini a queste persone non è un capo in carne e ossa, ma un sistema informatico che li fa arrivare sullo smartphone con un algoritmo che poi serve anche a riconoscere i premi economici. Il meccanismo è entrato in funzione a maggio 2018, Tim ha informato i lavoratori solo ad agosto 2019, molto dopo il ricorso della Cgil. “Il provvedimento – commenta Riccardo Saccone della Slc Cgil – si riferisce a comportamenti del passato management Tim, con il quale noi abbiamo molto litigato. Oggi, per fortuna, ci sembra sia diverso e spero che questo segni definitivamente l’archiviazione di quella stagione”.