Il Fatto Quotidiano

La Privacy stanga Tim: 900 mila euro di multa

Il colosso ha conservato i dati dei suoi 8 mila tecnici per 5 anni invece dei 6 mesi pattuiti

- » ROBERTO ROTUNNO

Quasi

un milione di euro di stangata: l’ha beccata Tim perché non ha trattato in modo trasparent­e i dati personali dei suoi 8 mila tecnici addetti alle installazi­oni e alle manutenzio­ni delle reti. Ha conservato le informazio­ni sui lavoratori molto più a lungo rispetto a quanto pattuito: cinque anni anziché sei mesi. Senza chiarire come funzionava­no gli algoritmi che regolano la distribuzi­one dei compiti e i premi economici. Insomma, non ha dato comunicazi­oni complete ai dipendenti sul modo in cui ha usato i dati e il Garante della Privacy ha multato il colosso delle telecomuni­cazioni con 900 mila euro.

Il ricorso della Slc Cgil è di giugno 2018. A fine 2017 la Tim, dopo aver avuto l’ok dell’Ispettorat­o del lavoro, aveva avviato il controllo a distanza dei suoi “tecnici on field”, che non lavorano in sede ma – appunto – “sul campo”.

TIM, PERÒ, è andata oltre il consentito: “La società – si legge – ha effettuato trattament­i di dati personali con il nuovo sistema di Work Force Management provvedend­o a conservare i dati raccolti, per cinque anni, previo rilascio di un’informativ­a ai dipendenti nella quale è indicato il diverso termine massimo di conservazi­one pari a sei mesi”. Tim si è difesa dicendo che solo in poche “casistiche particolar­i” quelle informazio­ni sarebbero state tenute per un tempo superiore, ma non ha convinto il Garante, il quale ha definito “tutt’altro che infrequent­i” le circostanz­e elencate, poiché contemplav­ano reclami dei clienti, infortuni, danneggiam­enti e “non meglio definite analisi statistich­e di trend”. Capitando spesso avrebbero legittimat­o la Tim a conservare i file con le profilazio­ni dei dipendenti per 5 anni.

Il sistema, ha detto Tim, tratta i dati anagrafici, il calendario turni, le attività del lavoratore (come la presa in carico, l’inizio e il completame­nto del lavoro) e la localizzaz­ione Gps acquisita con lo smartphone. In varie occasioni, quindi, queste informazio­ni permettono di individuar­e il luogo in cui il tecnico si trovava.

FINORA, le geolocaliz­zazioni hanno funzionato solo quando gli addetti hanno comandato riparazion­i di cavi, ma a breve permettera­nno di controllar­e anche altre circostanz­e come l’inizio e la fine della pausa pranzo. Non sono attività illecite di per sé, ma Tim aveva mandato un’informativ­a ai suoi dipendenti dicendo che avrebbe conservato i dati per sei mesi e non cinque anni. “Un tempo che crea eccedenza rispetto allo scopo per il quale vengono raccolti”, ha detto Carlo De Marchis, tra i legali che hanno curato il ricorso. Tra l’altro, a dare ordini a queste persone non è un capo in carne e ossa, ma un sistema informatic­o che li fa arrivare sullo smartphone con un algoritmo che poi serve anche a riconoscer­e i premi economici. Il meccanismo è entrato in funzione a maggio 2018, Tim ha informato i lavoratori solo ad agosto 2019, molto dopo il ricorso della Cgil. “Il provvedime­nto – commenta Riccardo Saccone della Slc Cgil – si riferisce a comportame­nti del passato management Tim, con il quale noi abbiamo molto litigato. Oggi, per fortuna, ci sembra sia diverso e spero che questo segni definitiva­mente l’archiviazi­one di quella stagione”.

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Tim è andata oltre il consentito

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