Rispetto alla bontà di Dio, la nostra è una giustizia a metà
C’è giustizia sulla terra? E c’è giustizia in cielo? Sono domande antiche e attuali, che tutti ci siamo poste o ci poniamo periodicamente. Sono domande esistenziali ma anche politiche, perché una società umana si giudica anche dalla giustizia che vi si amministra. La Bibbia si occupa della questione, sia per quanto riguarda la terra sia per quanto riguarda il cielo (“Dov’è il Dio di giustizia?”, Malachia 2,17). Anche Gesù si occupa della giustizia degli uomini e della giustizia di Dio. Ne è un esempio la parabola di Matteo 20,1-16 in cui Gesù racconta del padrone di una vigna che dà lavoro a diversi operai giornalieri. Di questi, alcuni lavorano tutta la giornata, altri solo una parte, gli ultimi un’ora soltanto. Quando il lavoro è finito, quelli che hanno lavorato solo un’ora e quelli che hanno lavorato solo una parte della giornata ricevono dal padrone della vigna lo stesso compenso che era stato pattuito con quelli della prima ora, con quelli, cioè, che hanno faticato tutto il giorno.
UN COMPORTAMENTO sorprendente, per non dire scandaloso. La decisione del padrone, infatti, non corrisponde alla nostra esperienza né alla nostra idea di giustizia, che è e rimane, nonostante tutti gli sforzi che possiamo fare, retributiva (a un tanto corrisponde un tanto ecc.). È basata, cioè, su quello che siamo in grado o vogliamo fare, non sul nostro bisogno: certo che abbiamo tutti la stessa necessità di lavorare per vivere, ma la retribuzione è commisurata al lavoro, non al bisogno. Sarà duro, ma è inevitabile, è il male minore. Perché così è la vita, perché così va il mondo.
Ma è proprio in questo che differisce la giustizia di Dio dalla nostra, e quindi il Regno di Dio dal regno degli uomini: che la nostra è, e non può che essere, una giustizia a metà ( quella dell’uomo “vecchio”), non una giustizia piena ed equa (quella dell’uomo “nuovo”). Anche se il concetto di giustizia che si è sviluppato nelle società occidentali fa riferimento anche a criteri di equità, di proporzione della pena e di riabilitazione del reo, quello che prevale è pur sempre il concetto della giustizia retributiva, che stava anche alla base della legge del taglione ( occhio per occhio e dente per dente). Qui, invece, Gesù fa intravedere il mondo nuovo di Dio, quello in cui i criteri di giudizio e di giustizia sono caratterizzati dalla benignità/bontà, ovvero della grazia.
Un criterio che, se applicato rigorosamente, scandalizza l’uomo “vecchio”, anche l’uomo religioso, che infatti lo nega (o cerca di farlo), minimizzandolo, limitandolo, condizionandolo. La frase del v. 15 – una delle più dense teologicamente di tutta la Bibbia – dice: “Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sia buono?”.
Una domanda che resta sospesa perché attende una risposta, anche da noi: anche noi vediamo di mal occhio che Dio sia buono? Ma Dio è così e agisce proprio così: con libertà (“Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio?”) e con benignità/grazia (“vedi tu di mal occhio che io sia buono?”). Ed è fondamentale che la libertà di Dio si coniughi con la benignità, perché la libertà da sola non è per nulla rassicurante, sappiamo che non è detto che porti con certezza al bene.
LIBERTÀ E BENIGNITÀ di Dio. Gesù ne ha appena parlato nel suo colloquio con il giovane ricco, al cap. 19 di Matteo, quando gli dice “Uno solo – cioè Dio – è il buono” (v.17. Nella versione di Marco è ancora più interessante: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio”, 10,18). Dio dunque è buono/benigno, i suoi pensieri sono pensieri di benignità, le sue vie sono vie di benignità per noi. Come dubitarne? E perché dubitarne? O anche noi vediamo di mal occhio che Dio sia buono?
IN CIELO E IN TERRA Gesù fa intravedere il mondo nuovo del Padre, in cui regnano la grazia e la libertà (ma essa, da sola, non è per nulla rassicurante)