Il Fatto Quotidiano

Salvador, all’inferno e ritorno

Gli Usa e i rimpatri forzati La fuga, i rientri, la morte: Javier ucciso dalla banda da cui era scappato, Angela ha ritrovato il suo stupratore

- » ALESSIA GROSSI

Javier aveva 17 anni quando, nel 2010, sfuggì al reclutamen­to della banda del suo quartiere rifugiando­si negli Stati Uniti dove viveva già sua madre, Jennifer B. Aveva 23 anni Javier quando morì per mano della gang rivale, quattro mesi dopo essere stato rispedito a El Salvador, causa respingime­nto della richiesta d'asilo da parte degli Usa. “A El Salvador è così. Basta un tatuaggio scomodo e sei morto”, è il commento degli operatori di Human right watch; la Ong ha appena pubblicato il primo dossier su quasi dieci anni di deportazio­ni forzate, abusi e morti di cittadini salvadoreg­ni a causa dei rimpatri dagli Usa. E la responsabi­lità della polizia di frontiera americana, questa volta, non c'entra. O meglio, non ne è l'unica causa. Le forze dell'ordine dei paesi d’origine dei migranti non sono da meno, quanto a crudeltà.

TRE ANNI DOPO Javier, da El Salvador scappano i cugini Walter e Gaspar T. rispettiva­mente 16 e 17 anni. Dopo sei anni negli Usa, Washington rifiuta di dare loro asilo e anche i due fanno ritorno al proprio destino. Una notte, i poliziotti salvadoreg­ni entrano in casa e iniziano a picchiarli, prima ancora di svegliarli, senza mandato e senza una ragione. Li portano in commissari­ato e lì vengono picchiati per tre giorni di seguito, trattenuti con l'accusa di associazio­ne a delinquere. Angelina N. a 20 anni, nel 2014, era riuscita a sottrarsi agli abusi perpetrati su di lei dal padre di sua figlia di 4 anni e da un altro membro della loro banda. Fermata dalle autorità Usa nel tentativo di passare la frontiera,

Angelina viene deportata quello stesso anno. E quello stesso anno, decide di non provare neanche più a denunciare l'uomo che riprese a violentarl­a puntandole una pistola alla tempia e minacciand­o di morte suo padre e sua figlia se avesse fatto ricorso alla polizia. “Gli Stati

Uniti da anni hanno la responsabi­lità diretta di mettere a rischio la vita di milioni di persone, sapendo che rimpatrian­dole a El Salvador in molti casi le condannano a morte”, scrive nel rapporto Hrw, secondo il quale sarebbero 1,2 milioni i salvadoreg­ni residenti negli Stati Uniti senza cittadinan­za. Di questi, poco più di un quarto hanno un permesso permanente, mentre i restanti tre quarti sono senza documenti, con uno status precario e dunque facilmente preda delle bande. L'Ong ha stimato che in soli quattro anni, dal 2014 al 2018, tra Usa e Messico i deportati salvadoreg­ni sono stati circa 213 mila, nel silenzio generale.

“NESSUN GOVERNO, nessuna agenzia dell'Onu o altra Ong ha monitorato finora cosa accade alle persone una volta rimandate in territorio s al v ad o re g no ”, denuncia Hrw che, attraverso questo primo dossier vuole testimonia­re che le politiche degli Usa sempre più stringenti in tema di asilo e immigrazio­ne mettono “sistematic­amente in pericolo i richiedent­i asilo, oltre a violare ripetutame­nte gli obblighi di protezione nei confronti dei cittadini di El Salvador che nel proprio paese di origine sono esposti a gravi rischi”. I numeri del dossier – ricavati con difficoltà da articoli di cronaca, atti giudiziari e interviste a familiari superstiti, membri della comunità e funzionari, in assenza di un conteggio ufficiale - parlano chiaro: dal 2013, 138 salvadoreg­ni sono stati uccisi una volta rimpatriat­i dagli Usa.

Di questi, 70 sono casi di violenza sessuale, tortura o altri crimini perpetrati di solito dalle bande. In più di 100 casi gli operatori hanno riscontrat­o un legame tra le ragioni che hanno spinto le vittime a fuggire dal proprio paese e quella della loro morte e – come per Javier, i cugini T. e Angelina - tornano a soffrire gli stessi maltrattam­enti, spesso negli stessi quartieri da cui sono fuggiti e dalle stesse persone, che si tratti di membri di bande, agenti di polizia, forze di sicurezza o criminali domestici. E l'allarme di Human right watch si fa più forte tanto più ora che “le politiche di asilo e immigrazio­ne di Trump rendono più difficile per le persone in fuga dai propri paesi ottenere asilo negli Usa, separando i bambini dai genitori”. Secondo l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, il numero di salvadoreg­ni che ha paura di tornare a El Salvador è aumentato esponenzia­lmente. Tra il 2012 e il 2017, il numero di richiedent­i asilo annuali salvadoreg­ni negli Stati Uniti è cresciuto di quasi il 1.000 per cento, passando da circa 5.600 a oltre 60.000. E sempre più spesso ricevono un ‘no’, quasi sempre definitivo, come Javier, Walter, Gaspar e Angelina.

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Ansa/LaPresse Vite disperate Gruppo di migranti fermati dopo essere fuggiti da Honduras e Salvador; in basso, affiliati alla MS 13 arrestati a El Salvador
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