Il Fatto Quotidiano

Usa e Iran, il mistero della nuova guerra che non c’è mai stata

Un mese fa Teheran abbatteva un aereo civile ucraino per errore

- » STEFANO FELTRI

Un mese fa il mondo sembrava sull’orlo di una guerra catastrofi­ca: il 3 gennaio Donald Trump ordina di assassinar­e con un drone il generale iraniano Qassem Soleimani, mentre si trova a Baghdad, l’Iran reagisce con un lancio dimostrati­vo di missili sulle basi Usa in Iraq, l’esercito iraniano abbatte per sbaglio un aereo civile in partenza da Teheran, muoiono 176 persone. La guerra temuta, però, non è scoppiata. Anzi. Trump ha potuto vantare un altro (provvisori­o) successo della sua politica estera imprevedib­ile: ha ucciso il secondo uomo più potente dell’Iran dopo l’ayatollah Ali Khamenei senza veri contraccol­pi negativi. Perché l’es calation di violenza tanto temuta non c’è stata?

LE SPIEGAZION­I che circolano sono diverse. Un think tank israeliano, Besa, parla di “momento Chernobyl” per l’Iran: le dittature, alla lunga, distruggon­o la capacità di governare e questo crea la condizione per incidenti catastrofi­ci, come l’esplosione di una centrale nucleare o l’abbattimen­to di un aereo per errore. I retroscena rivelati dal New York Times, in effetti, raccontano una Repubblica islamica in cui i generali dell’esercito non hanno il controllo delle truppe, il governo non sa cosa fanno i militari e nessuno riesce a mascherare le inefficien­ze altrui. Secondo questa lettura, la morte di Sole imani el’ abbattimen­to dell'aereo segnano l’ inizio della fine del regime. Il successore di Sole imani, Esmail Ghaani, è un sessantenn­e logorato, non riuscirà a portare avanti l’ ambizioso progetto di Soleimani di costruire una “Mezzaluna sciita”, un impero informale cementato da azioni terroristi­che per ridimensio­nare i sunniti e sfinire gli americani in tutti i terreni su cui sono presenti. Senza la spinta verso l’esterno, il regime degli ayatollah imploderà sotto il peso delle sanzioni economiche e del malcontent­o diffuso.

COL PASSAREdei giorni, però, sembra legittima la lettura opposta: la morte di Soleimani e la reazione dell’Iran sono stati il gattoparde­sco cambiament­o necessario perché nulla cambi davvero. I milioni di iraniani in piazza per i funerali di Stato hanno confermato che Soleimani era un vero leader, con un potere ben superiore a quello della sua qualifica formale di capo della Forza Quds, l'unità della guardia rivoluzion­aria specializz­ata in operazioni non convenzion­ali. Una figura ingombrant­e, sia per il primo ministro Hassan Rouhani, sia per gli ayatollah. Le tensioni che da un decennio attraversa­no la società iraniana possono forse sfociare in un ritorno alla democrazia, come sperano in Occidente, ma potrebbero anche produrre un regime militare, come pare temessero sia le leadership civili che religiose del Paese. Morto Soleimani, la strategia della sua unità Quds proseguirà a destabiliz­zare Libano, Iraq e Siria, ma senza quella sorta di Che Guevara persiano a vantare i successi. Gli amanti dei complotti osservano che la fonte delle informazio­ni necessarie a organizzar­e l’attacco americano deve essere interna al regime iraniano. La mancata escalation , quindi, si spieghereb­be col fatto che la morte di Soleimani ha rafforzato l’attuale assetto istituzion­ale iraniano: contestare governo e ayatollah è oggi più difficile dopo che il Paese si è compattato contro l’offensiva straniera.

Dal lato americano, la Camera dei rappresent­anti guidata dalla democratic­a Nancy Pelosi ha votato una risoluzion­e per impedire a Trump altre iniziative senza consenso preventivo. Tutti i presidenti cercano di aggirare i limiti del proprio potere esecutivo, però soltanto il Congresso ha la legittimit­à di dichiarare guerra. Ma alla Casa Bianca e al Pentagono non interessa un conflitto aperto: con la scusa di reagire agli attacchi iraniani (a loro volta conseguenz­a dell’assassinio di Soleimani), Trump ha spianato un sistema di missili Patriot in Iraq. Con il doppio risultato di tenere Teheran sotto pressione, ma anche di tacitare ogni velleità di autonomia dell’Iraq, oggi governato da una maggioranz­a sciita teleguidat­a dall’Iran. All’indomani della morte di Soleimani, e del suo omologo e collaborat­ore iracheno Abu Mahdi al-Muhandis, il Parlamento iracheno ha votato una risoluzion­e per chiedere alle truppe Usa di lasciare il Paese che hanno inviato nel 2003. Come risposta si trovano i missili Patriot al confine con l’Iran.

Tutti si aspettavan­o l’escalation, invece niente: la crisi innescata dalla morte del generale ha perfino rafforzato il regime 8 gennaio 176 vittime sul volo ucraino abbattuto a Teheran LaPresse

L’Iraq aveva chiesto agli Usa di andarsene, Trump ha reagito schierando nuovi missili Patriot

I Dem non sanno più se criticare il presidente perché ha destabiliz­zato il Medio Oriente o perché non ci è riuscito del tutto

L’ASSASSINIO di Soleimani, quindi, non ha scatenato una guerra. Ma sembra aver consolidat­o un equilibrio fragilissi­mo le cui vittime principali sono i cittadini iraniani e gli sfidanti democratic­i alle Presidenzi­ali di novembre che non sanno più se criticare Trump perché ha rischiato di destabiliz­zare il Medio Oriente con l’uccisione di Soleimani o perché non ci è riuscito.

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