“Bugie sulla morte di mia figlia: solo la prescrizione li ha salvati”
Federica aveva 16 anni, morì in sala operatoria per un black out. E qualcuno cercò di insabbiare
Doveva essere una semplice operazione di appendicite come un’altra. E invece Federica Monteleone, 16 anni e una passione sconfinata per il giornalismo, da quella sala operatoria non è mai uscita: il black out dell’ospedale “Jazzolino” di Vibo Valentia del 19 gennaio 2007, le fu fatale. Eppure per quella morte, la prescrizione ha avuto la meglio in tre dei quattro filoni dell’inchiesta giudiziaria. Se nel primo gli otto imputati tra medici, anestesisti e dirigenti della Azienda Sanitaria Provinciale sono stati condannati fino alla Cassazione, la tagliola della prescrizione ha interrotto tutti gli altri tre processi: quello nei confronti di quattro operatori sanitari (già assolti in primo grado per “non aver commesso il fatto”), di altri otto imputati che dovevano rispondere di calunnia e falsa testimonianza ma soprattutto quello nei confronti dell’ex procuratore di Vibo Valentia, Alfredo Laudonio, accusato di omissione e favoreggiamento. Secondo la Procura di Salerno, l’ex pm non aveva comunicato tempestivamente quanto avvenuto al suo sostituto di turno e di non aver sequestrato subito la sala operatoria. “La prescrizione non dovrebbe esistere – dice oggi a tredici anni di distanza la madre Mary Sorrentino, 55 anni compiuti – perché così non si ottiene mai giustizia”.
Signora Sorrentino, qualche colpevole sulla morte di sua figlia c’è.
Sì, è vero ma gli unici che alla fine sono stati ritenuti colpevoli sono l’anestesista e gli ingegneri che hanno messo in piedi quella sala operatoria priva di ogni norma di sicurezza. Praticamente, secondo la giustizia italiana, mia figlia Federica è stata uccisa a livello tecnico e non sanitario. E tutti gli altri?
Prescritti.
Esatto, la prescrizione ha bloccato tutto. Non è possibile, non è giusto.
Come mai, secondo lei?
Secondo me, se si arriva a processo davanti a un giudice non si può arrivare mai alla prescrizione, soprattutto per un caso di omicidio. Oltretutto, poi, in un caso in cui è stato contestato l’omicidio colposo quando invece doveva essere volontario, quindi senza prescrizione possibile.
Perché?
Be’, perché tutti conoscevano i rischi di quella sala operatoria priva di ogni norma di sicurezza. Per cui, se tu medico accetti di operare in quella sala operatoria e poi muore qualcuno, non possono non accusarti di omicidio volontario. È come se in una strada di paese ci fosse il limite a 50 chilometri orari, io decido di andare a 100 e uccido una persona: quello è omicidio volontario. Se invece vado a 30 e rispetto la legge, è chiaro che sarebbe omicidio colposo. La differenza esiste ed è grossa.
Qualcuno ha commesso errori e depistato le indagini?
Sì, sicuramente. Dopo 13 anni a livello giudiziario alla fine non si sa ancora chi ci fosse con mia figlia durante il black out: secondo me non c’era nessuno perché Federica era una ragazza sana con un fisico da atleta e sarebbe bastato pochissimo per tenerla in vita. E invece morì a sedici anni e le indagini sono state depistate perché qualcuno non voleva far sapere cos’era successo.
Perché si è arrivati alla prescrizione?
Perché si rinviano udienze da un anno all’altro, perché ci sono troppi processi e perché ci sono pochi giudici. Tra un’udienza e l’altra passavano sei, sette mesi: non è possibile, poi è chiaro che così si arriva alla prescrizione.
Cosa propone?
La prescrizione dovrebbe essere fermata al processo: è un danno sia per gli imputati sia per i danneggiati: in Italia assistiamo a persone che se la sono cavata con la prescrizione pur avendo colpe molto gravi e così, tu, Stato italiano, non mi dai la possibilità di arrivare alla giustizia. Per me la prescrizione non deve esistere, mai. Loro non si rendono conto che quando si uccide una persona, in realtà ne vengono uccise molte altre: tutti noi familiari siamo morti che respirano, come dico sempre io. Mia figlia aveva la grande passione per il giornalismo e avrebbe voluto diventare una grande reporter di cronaca nella vita. Ha avuto anche tre premi perché collaborava con un giornale online della scuola, amava spaziare dalla cronaca ai temi più leggeri. Per ricordarla, abbiamo da subito creato una fondazione in suo nome che aiuta i più svantaggiati: Federica amava aiutare gli altri.
Era una ragazza sana Le indagini sono state depistate perché qualcuno non voleva far sapere cos’era successo