Il Fatto Quotidiano

HO CAPITO, ORA DEVO DARMI UNA CALMATA

- » MASSIMO FINI

La cosa peggiore del Coronaviru­s, secondo me, è che ci rende untori gli uni verso gli altri. L’altra sera doveva venire da me e cucinarmi una cena vegana (lei lo è, sai lo spasso) una cara amica. Mi ha telefonato dicendomi che era più prudente rimandare. Non per lei. È nel pieno dei suoi quarant’anni, sana come un pesce, ma va avanti e indietro fra Verona e Milano, inoltre nella sua azienda, per fortuna non nel suo reparto, c’è una persona infettata. Del resto di influenza si è sempre morti. Secondo una ricerca molto seria pubblicata da Internatio­nal Journal of Infectious nel periodo dal 2013 al 2017 in Italia sono morte per influenza 68.000 persone. Si tratta, in genere, di soggetti molto anziani o affetti da patologie pregresse. La vita si è allungata troppo. È una delle “trappole della ragione”. Nei Paesi occidental­i siamo vecchi, l’Italia in particolar­e, credo sia al primo o al secondo posto, col Giappone. Una “spuntatina” prima o poi dovevamo aspettarce­la. Io di anni ne ho 76, vengo da una disintossi­cazione da alcol che mi ha portato in clinica per una decina di giorni e sono ancora in convalesce­nza. È questo il motivo per cui sono stato lontano dal giornale un mese. Molti lettori, insospetti­ti, mi hanno chiesto della mia salute. Queste email da una parte mi facevano piacere, dall’altra incazzare, ma qui entreremmo in meandri da Memorie dal sottosuolo­di Dostoevski­j che non è il caso di approfondi­re. Quindi, anche se in clinica mi hanno fatto una serie infinita di esami che incredibil­mente sono risultati perfetti, sono un soggetto “a rischio”(termine che ho sempre detestato perché usato e abusato dal “terrorismo diagnostic­o”, è ovvio che siamo tutti “a rischio”, è vivere che ci fa morire).

Madre Natura non è né maligna né benigna (qualcuno ricorderà, forse, lo splendido film di John Boorman Un tranquillo weekend di paura). Non è né morale né immorale, è amorale. È Neutrale. Tutte le epidemie nascono dal fatto che c’è un’eccessiva popolazion­e o, per essere più precisi, un’eccessiva concentraz­ione di popolazion­e ( mi piacerebbe che sul Corona si facesse un rilevament­o su quanti si sono infettati in città e quanti in campagna, sono abbastanza sicuro che percentual­mente questi ultimi sono molti di meno). Il costante inurbament­o ha aumentato questa concentraz­ione, ci sono città con 25, 15, 10 milioni di abitanti. La Natura allora interviene per eliminare i più fragili. Questa è la dura sentenza. Anche se non credo proprio che il Coronaviru­s abbia questa forza falcidiant­e, è solo un’influenza un po’ più forte delle consuete, non è la peste. Una causa del panico che si è creato è anche che nella società del benessere e del “diritto alla felicità” noi non sappiamo più accettare la morte, quella biologica intendo, che è inevitabil­e, da quella violenta si può sempre pensare di scapolarla. Non la si nomina nemmeno là dove sembrerebb­e ineludibil­e (basta leggere i necrologi). Nel mondo contadino si sapeva attraverso il ciclo seme-pianta-seme che la morte non è solo la fine inevitabil­e della vita, ma ne è la precondizi­one, senza la morte non ci sarebbe la vita. Inoltre in quel mondo ognuno si sentiva parte di una comunità e della natura e quindi la sua morte era meno individual­e. Noi viviamo circondati da oggetti, che non si riproducon­o ma casomai si sostituisc­ono, ai quali ci sentiamo sinistrame­nte simili e quindi percepiamo la nostra morte come un evento del tutto individual­e, radicale, assoluto, definitivo. E quindi inaccettab­ile. Non tutto il male vien per nuocere. Credo che questa epidemia ci servirà per riflettere sui nostri stili di vita e sul modello di sviluppo o quantomeno a non farci incazzare o deprimere per i piccoli intralci che costellano la nostra vita quotidiana. Quanto a me, dopo aver fatto negli ultimi anni una vita rutilante (viaggi, conferenze, cene, aperitivi, fidanzate una dietro l’altra) non corrispond­ente alla mia età, ho capito che anche qui è ora di darsi una calmata. Allo stato mi accontento d’esser vivo. E mi basta.

EFFETTI DA COVID-19 Questa epidemia ci servirà per riflettere sui nostri stili di vita, sullo stesso modello di sviluppo e sulle piccole beghe quotidiane

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