Il Fatto Quotidiano

Dalla Baviera fino a Codogno Il viaggio del virus “cinese”

Gli studi Gli esperti del Sacco: “Il ceppo è con alta probabilit­à lo stesso del Nord Italia”. Alcuni focolai lombardi non paiono legati al Lodigiano

- » DAVIDE MILOSA

Viaggio lungo ma rapidissim­o quello fatto dal virus SarsCov2. I ricercator­i sono come segugi, studiano il carattere per comprender­ne gli spostament­i che lo hanno poi portato in Italia. Oggi sappiamo molto più di pochi giorni fa. Possiamo dire in particolar­e che il ceppo isolato in Germania è con altissime probabilit­à lo stesso che è arrivato nel nord Italia alla fine di gennaio. Ne vedremo i motivi. C’è però dell’altro e più casalingo, stando ai dati messi in fila dall’equipe del professor Massimo Galli a capo del dipartimen­to di malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, la mappa sui nostri territori, in divenire e non ancora divulgabil­e, mostra in Lombardia nuovi focolai che non sembrano collegati direttamen­te al primo nato a Castiglion­e d’Adda e a Codogno. Si tratta di due novità non di poco conto.

TORNIAMO, ALLORA, al viaggio dalla Cina. Spiega il professor Galli: “La sequenza tedesca (isolata il 28 gennaio nella regione della Baviera, ndr) e quelle isolate in Italia sono certamente parenti. Se immaginate un ramo con le sue foglie, la foglia tedesca è più vicina alla base del ramo e agli altri rami formati dalle sequenze isolate in Cina. Ci sono quindi buone probabilit­à che il virus tedesco sia più vecchio del nostro, che sia stato il primo ad essere importato dalla Cina e che a partire da quel virus si sia successiva­mente innescata da noi l’epidemia. Non occorre nemmeno rammentare quanto intensi siano gli scambi tra Baviera e Lombardia”. Ecco, quindi la novità: il virus tedesco è lo stesso arrivata da noi in Italia. Tre elementi, dunque, portano gli esperti a sostenere il collegamen­to diretto. Prima la derivazion­e del SarsCov2 tedesco da quello isolato nella regione di Hubei. Secondo, la sua età in qualche modo più adulta rispetto al nostro e terzo le sequenze molecolari, basate sulle analisi e le variazioni dei nucleotidi, che fanno match con quelle isolate dall’o s p ed a l e Sacco sui primi tre ceppi arrivati poco dopo il 20 febbraio, data in cui all’ospedale di Codogno viene individuat­o il paziente uno.

La caccia, dunque, continua a livello europeo e soprattutt­o a livello italiano. Qui, come già anticipato dal Fatto nei giorni scorsi, è pronta una mappa che potrà spiegare in modo non completo ma certamente esauriente, gli spostament­i del nostro SarsCov2 che provoca la malattia chiamata Covid-19. Il primo dato nuovo è l’emersione di nuovi focolai in Lombardia che non risultano collegati a quello di Codogno, il che dal punto di vista sanitario e dello stesso ordine pubblico indica un allarme ulteriore.

PER CAPIRE bisogna tornare al 20 febbraio. Alle 21 di quella sera, l’Italia ha il suo primo paziente affetto da Covid-19. Da lì e in meno di 72 ore il contagio si allarga a diversi province lombarde, a quelle venete, dell’Emilia Romagna e parte del Piemonte. Una velocità fulminea raccontata ieri in Regione Lombardia attraverso tre slide che rappresent­ano sulla mappa della Lombardia l’incredibil­e diffusione in poco tempo di SarsCov2. Tanto veloce che il 23 febbraio il virus è già stato trovato a Cuneo e in Trentino. Attenzione però non significa che a partire dal 20 il virus si è propagato, il virus già viveva sotto traccia. Significa piuttosto che da quel 20 febbraio, il sistema sanitario lo ha cercato ovunque. Spiega G a l l i : “S ul fronte italiano adesso stiamo cercando di ampliare il numero delle sequenze disponibil­i per seguire il virus in quello che è stato il suo percorso e per capire se l’intera epidemia lombarda abbia o meno la stessa origine. I casi di Bergamo, dell’Emilia e del Veneto sono probabilme­nte tutti collegati con l’epidemia della zona rossa del lodigiano”. Tra il 20 e il 23, dunque, il virus probabilme­nte viaggia ma soprattutt­o emerge. Di certo i casi delle prime 72 ore sono tutti collegati al Lodigiano. Il che è già una notizia che ancora mancava. Ma c’è di più. Con lo studio dei casi e l’isolamento delle varie sequenze molecolari ci si trova oggi di fronte ad altri focolai che apparentem­ente non sono riconducib­ili al primo. Il dato potrebbe essere confermato, ma potrebbe essere anche solo apparenza.

“Ora - prosegue Galli - bisognerà capire se alcuni dei casi osservati più di recente, per cui non emergono d’acchito rapporti diretti con la zona rossa dai racconti dei pazienti, si confermera­nno, dopo l’analisi delle sequenze, collegati all’epidemia principale. Sarebbe importante per escludere altre introduzio­ni dalla Cina o da altrove, che ci potrebbero complicare il contenimen­to dell’ep id emia”. È fondamenta­le il lavoro molecolare. Solo la comparazio­ne tra le varie sequenze del virus isolate in diverse zone ci potranno dire se questi nuovi focolai sono o meno figli del primo sviluppato­si tra Codogno e Castiglion­e d’Adda.

La mappatura

Nelle prime 72 ore i casi sono tutti collegati al Lodigiano, poi “emergono” isolati

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Ansa Il viaggio L’entrata dell’ospedale di Codogno e il professor Massimo Galli, primario del Sacco di Milano
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