Oggi schiave del telefonino, ieri traviate dai romanzi
ALTRO CHE 8 MARZONel XVIII secolo le donne che leggono sono considerate pericolose perché influenzabili dai libri. Stesse accuse rivolte ora ai nativi digitali nel loro mondo virtuale
Mani a, socio patia, distrazione, dissociazione, sovreccitazione, incapacità di distinguere la realtà dalla finzione, fuga nel mondo virtuale: le accuse rivolte oggi ai nativi digitali sono le stesse rivolte ieri alle donne lettrici, laddove i primi sono schiavi del telefonino e le seconde traviate dai romanzi; gli uni smarriti dentro allo schermo di pc, smartphone e videogiochi, le altre perse tra le pagine di carta. O tempora, o mores.
LE PIÙ FAMOSE intemerate contro le fanciulle che leggono risalgono al 1740, all’indomani della pubblicazione di Pamela di Samuel Richardson, il bestseller rosa dell’epoca: curiosamente il libro esce nel formato “in-dodicesimo”, con dimensioni simili ai moderni telefonini. A stigmatizzare queste donne che corrono con la fantasia sono anche gli intellettuali, tanto che qualcuno arriva a proporre, dalle colonne del Gentleman’s Magazine, una “tassa del peccato” sui testi oziosi proprio come per alcol e sigarette. È il 1789, e il libraio svizzero Johann
Georg Heinzmann si spertica contro la “peste della letteratura”, considerando l’eccessiva lettura un fenomeno estremo, al secondo posto dopo la Rivoluzione francese.
Che i romanzi nuocciano alle donne è un pregiudizio “di sinistra”: è Rousseau, nell’Emilio, tra i primi a insinuare che “ogni ragazza troppo amante della letteratura resterà zitella per tutta la vita”. Oppure finirà corrotta, adultera e suicida come Madame Bovary: se il Sei-Settecento è un’epoca di relativa emancipazione femminile, con signore libere e libertine, salottiere e intellettuali, l’Ottocento, viceversa, ricaccia le donne nella prigione dorata della famiglia, confinandole al ruolo di mogli, madri e numi domestici. La restaurazione misogina è inaugurata dai rivoluzionari giacobini, come spiega un pensoso saggio di Alberto Mario Banti nella raccolta Romanzi nel tempo ( Later za, 2017), ma l’e mblema della donna perduta, perché traviata dalle cattive compagnie letterarie, resta Madame Bovary, che “legge cattivi libri... E così dunque venne deciso che si sarebbe impedito a Emma di leggere... Non avrebbero avuto il diritto di ricorrere alla polizia nel caso che il libraio avesse nonostante tutto persistito nel suo mestiere di avvelenatore?”. Banti fa notare lo “straordinario virtuosismo di Flaubert: il disastro di Emma è cominciato con l’inchiostro sulle pagine dei libri e finisce col sapore di inchiostro che l’arsenico le fa sentire in bocca, completando il cerchio tragico”.
Le donne che leggono sono pericolose: recita il titolo del saggio di Stefan Bollmann ed Elke Heidenreich ( Rizzoli, 2007). Tra le prime citazioni c’è l’ovvio Fahrenheit 451: “Perché i libri sono odiati e temuti? Perché rivelano i pori sulla faccia della vita. La gente comoda vuole soltanto facce di luna piena, di cera, senza pori, senza peli, inespressive”. La febbre per la lettura inizia a dilagare a metà del XVIII secolo, contagiando soprattutto le donne e i giovani: questi ultimi sono sedotti dai Dolori del giovane Werther, tanto che qualcuno arriva ad accusare Goethe per l’anomala serie di suicidi adolescenziali. Persino gli scienziati salgono sulle barricate: “La lettura, con la sua mancanza di attività fisica unita all’alternarsi di fantasie e sensazioni, porterebbe alla fiacchezza, all’intasamento di catarro, alla flatulenza, alla costipazione nelle viscere per tutti, ma, in particolare, per il sesso femminile, con un effetto deleterio sulla salute sessuale”, sentenzia il pedagogo Karl G. Bauer. Ancora nell’Ottocento si usa lasciare nella rilegatura dei romanzi ago e filo per ricordare alle lettrici il loro primo dovere: spicciare casa, accudire la prole e il marito. Dopotutto, “gli uomini non vogliono essere toccati nel cervello da una donna, bensì altrove”, dixit quel raffinato di Gottfried Benn.
Negli stessi anni – rammenta Sandra Petrignani in Lessico femminile (Laterza, 2019) – l’illuminista poco illuminato Sylvain Maréchal va dispensando perle di misoginia, tipo “le cuoche che non sanno leggere fanno la zuppa migliore”. Ha pure un piano, il signore: un bellissimo “Progetto di legge per vietare alle donne di imparare a leggere”. Sulle signorine anche i progressisti hanno i loro pervicaci pregiudizi, dalla Francia dei Lumi e della Rivoluzione alla rive gauche del dopoguerra: nel 1952 Marguerite Duras viene espulsa dal Partito comunista con l’accusa di “divergenze estetiche, reputazione di ninfomane e donna di facili costumi”. Risposta: “Forse mi trattano da puttana perché non trovano niente di meglio… E poi non posso cambiare i miei gusti letterari”. Da scrittrice, ma soprattutto da lettrice.
JEAN-JACQUES ROUSSEAU
Ogni ragazza troppo amante della letteratura resterà zitella per tutta la vita, quando ci saranno solo uomini sensati
Colte e streghe Da Madame Bovary alla Duras, le signore sedotte dalle cattive compagnie letterarie