L’ultimo Masterchef: lacrime, amori e padelle
Probabilmente non è il miglior momento per aprire un ristorante in Italia, ma Masterchef tira dritto. La nona edizione del padre di tutti i cooking show (la madre secondo noi si dissocia) laurea campione Antonio Lorenzon con il menu “Vita, vecchi ricordi” e lui tra le lacrime dei parenti si inginocchia davanti al compagno chiedendogli di sposarlo (i tempi cambiano, ma i partner si prendono sempre per la gola). Notata l’assenza delle Sardine, ma Maria De Filippi non avrebbe saputo fare di meglio. Il nocciolo strappacuore c’è sempre, così come lo spaghetto-western dei tre giudici, il Buono, il Fighetto e il Cattivo (Locatelli ha sostituito Bastianich nel ruolo del Cattivo), e c’è come non mai l’ansia da prestazione quando si chiede ai tre finalisti di realizzare certe sfere al cardamomo con l’azoto liquido, assaggiate a malapena dai giudici (“Buone, buone”; ma poi lasciano lì). Questa però è la materia prima; in più stavolta abbiamo visto mousse freudiane, glasse proustiane, taoismo a bassa temperatura: la salicornia mi trasporta all’infanzia sul Mar Egeo… nella mia prima vita forse ero un pesce torpedine… nei ravioli al wasabi ho fuso le anime di Puglia e Giappone (“Se il Fuji avesse lu mare…”). Difficile dire quali altre arrampicate sulle padelle ci riserverà Masterchef. Esaurito il passato, resta forse la cucina aliena, il ragù alla venusiana. Intanto Carlo Cracco è tornato in cucina, ma giusto per la durata di uno spot. Un passo indietro che forse è un passo avanti.