Jnim, il terrorismo “nomade” prende il posto di al Qaeda
Terrorismo in Africa Il gruppo Jamaat Nusrat al Islam wal Muslimin ha unito varie tribù, dai tuareg ai fulani: incita alla guerra ai ‘crociati’ e vuole pure la Libia
Se fosse una sceneggiatura per una serie come Homeland o Le Bureau des Légendes, l'immagine iniziale avrebbe una scritta in basso: “Cinque mesi fa”; vedremmo un gruppo di uomini attorno a monitor che mostra facce, luoghi, collegamenti e una sigla: Jnim. Il volto numero uno ha un nome: Iyad Ag Ghaly. Il numero due si chiama Ali Maychou. Entrambi hanno una folta barba nera. Altra scena. Su un elicottero un reparto di forze speciali francesi si passa l'immagine di Maychou. Lo guardano bene. Poi l'elicottero atterra. Conflitto a fuoco. Urla, raffiche, sangue.
Ora il racconto riprende in Italia: “Roma, marzo 2020”. Nei loro uffici gli 007 lavorano a un dossier la cui testata recita “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2019”. L'inquadratura stringe su un funzionario che scrive: “L'area del Sahel è definita potenziale epicentro del jihad globale. Le formazioni saheliane, in particolare quelle aderenti a Daesh e le varie sigle qaediste raggruppate nel cartello Jamaat Nusrat al Islam wal Muslimin (Jnim), hanno potenziato le loro attività grazie ad un mix di tattiche funzionali alla loro espansione geografica e crescita operativa”.
NON SOLO fra i minareti del Khorasan o asserragliato in quel che resta delle macerie siriane; al Qaeda lascia le sue impronte anche nella sabbia dorata del Sahel, quella parte di Africa sub sahariana che si estende dall'Oceano Atlantico a ovest, fino all'est del Mar Rosso e del Sudan: è questo il punto da cui deve partire la destabilizzazione occidentale auspicata dagli estremisti islamici che vogliono imporre la sharia . La nuova sigla del terrore è Jamaat Nusrat al Islam wal Muslimin (acronimo, Jnim), e promette di mettere a ferro e fuoco Burkina Faso, Ciad, Mali, Niger, Sudan. Per arrivare in Libia.
Jnim non è una “co sa” spuntata dal nulla. Gli americani sfruttando ancora quel poco di attività operativa sul terreno che i russi rosicchiano ogni giorno di più, il 5 settembre 2018 pubblicavano un documento ufficiale del Dipartimento di Stato; la creatura jihadista è descritta come filiale ufficiale di al Qaeda in Mali: “Da quando è stata costituita, nel marzo 2017 ha rivendicato la responsabilità di numerosi attacchi e rapimenti, come il raid nel giugno dello stesso anno in un resort frequentato da occidentali al di fuori di Bamako”.
Il suo capo è l'emiro Iyad Ag Ghaly; nel 2010 era stato espulso dall'Arabia Saudita per i suoi legami con al Qaeda. A dare la benedizione a Jnim è stato proprio il capo di al Qaeda, il terrorista egiziano al-Zawahiri, ex braccio destro di Osama bin Laden; quando quest'ultimo è stato eliminato dagli Usa (2 maggio 2011) è diventato il capo dell'organizzazione. La forza di Jnim sta nell'essere capace di mettere insieme vari gruppi nomadi tra cui i tuareg di Ansar Dine, i fulani di Katiba Macina (ex Macina Liberation Front), nuclei del Magreb, berberi e al-Mourabitoun; una alleanza che permette ad al Qaeda di presentarsi come un movimento pan-islamico non vincolato da rivalità tribali, in una regione dove un granello di sabbia più chiaro vorrebbe sparare a quello più scuro. A gennaio, l’inviato delle Nazioni Unite Mohamed
Ibn Chambas, ha riferito al Consiglio di Sicurezza dell’Onu che gli attacchi dei jihadisti sono aumentati di 5 volte rispetto al 2016 in Burkina Faso, Mali e Niger: 4.000 morti nel 2019 e ha sottolineato “la crescente ambizione dei gruppi terroristici presenti nel Sahel e nell’Africa Occidentale”.
Nel Sahel è in atto l'operazione Barkane che si svolge fra Mauritania, Mali, Niger, Burkina Fasu e Ciad. Per alcuni osservatori questa presenza militare è da attribuire all'istinto colonialista di Parigi duro a morire; per altri, è un contrasto essenziale per non ritrovarsi uno stato islamico illegale dietro la porta di casa sul modello di quello avuto per qualche tempo da al Baghdadi, fra Iraq e Siria. Per altri ancora, il Sahel sarà il nuovo Afghanistan dei francesi; l'ambiente è ostile e sopravvive solo chi lì ci è nato. La Francia conta già più di 40 caduti ma agli inizi di febbraio ha confermato che ai 4.500 soldati se ne aggiungeranno altri 600 per dare man forte al G5, la task force internazionale creata nel febbraio 2017 da Mali, Niger, Burkina Faso, Ciad e Mauritania. Proprio in Niger ci sono 292 militari italiani, impegnati in missione di addestramento.
TORNIAMO al campo di battaglia e alle prime sequenze. Ali Maychou nella notte fra l'8 e il 9 ottobre 2019 è stato ucciso dai commandos francesi. Ali Maychou era il “terrorista tipo” del Jnim: marocchino, nel 2017 il Dipartimento di Stato americano lo aveva inserito nella sua lista nera. Nel 2012, Ali si era unito ad al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqim), diventandone il suo leader spirituale. Dal 2014 al 2015, Maychou era stato imam in Libia; poi era partito per il Sahel e nel 2017 ha contribuito alla fondazione di Jamaat Nusrat al Islam wal Muslimin. In Francia, al programma 20 Minuti, Abdelasiem El Difraoui, esperto di
OPERAZIONE BARKANE E 007 Parigi schiera i soldati, Roma conferma: quest‘area geografica è potenziale epicentro del jihad globale
propaganda jihadista, ha detto: “Jnim è in grado di riunire tribù e clan. Ecco perché l'eliminazione di questi leader, come Ali Maychou, è molto importante. Ci sono molti giovani che sono sedotti da queste organizzazioni islamiste”. È questa l'inquadratura finale: mentre si brinda al raid che ha eliminato Maychou, in una stanza dalle parti di Bamako alcuni ragazzi guardano un messaggio in video di uno dei luogotenenti di Jnim che gli promette: “Il Sahel sarà la nostra nuova nazione. Inshallah”.