Fontana spara contro il Dpcm chiesto da lui
Mansueto ai tavoli, duro in tv
■ Il governatore lombardo gioca su piu tavoli. Istituzionale se serve, all’opposizione un attimo dopo
Alla faccia della leale collaborazione: da quando è iniziata la tragedia del Covid in Italia, il presidente della Regione Lombardia e quello del Consiglio vivono in conflitto permanente. Il merito è da attribuire specialmente al primo. L’ennesima battaglia di carta di Attilio Fontana contro Giuseppe Conte si sta consumando sull’ultimo decreto di Palazzo Chigi (dpcm).
Sabato il governatore aveva anticipato il capo del governo di un paio d’ore, annunciando un’ordinanza regionale con restrizioni vagamente più severe di quelle che di lì a pochissimo avrebbe presentato il premier. I due, a quanto si apprende, quel pomeriggio avevano un appuntamento telefonico per confrontarsi sulle misure, ma all’ora stabilita Conte non era reperibile, impegnato nella concertazione con i sindacati. A quel punto Fontana ha fatto la sua mossa, presentando l’ordinanza con poche ore di anticipo sul messaggio del premier alla nazione. Come se nel rapporto tra Stato e Regione il criterio fosse chi taglia prima il traguardo.
NEI GIORNI successivi, il presidente della Lombardia non ha smesso le ostilità, anzi. La polemica è proseguita per via mediatica – per esempio l’intervista al Quotidiano Nazionale in cui Fontana definisce il dpcm “ancora troppo blando rispetto a quello che servirebbe”– e per via istituzionale: ieri il leghista ha di fatto sollevato un conflitto tra la sua ordinanza e il decreto governativo. “Secondo gli uffici legali – sostiene il governatore – deve prevalere l’ordinanza regionale”. Ha sollevato la questione al Viminale: “Ho inviato una nota formale al ministro dell’Interno Lamorgese, con la quale chiedo che il ministero esprima il suo parere se si debba applicare l’ordinanza della Regione o il Dpcm”.
Il “carteggio” con il ministero pare si sia interrotto in modo sospetto. Fontana, in sostanza, avrebbe chiesto a Lamorgese come si sarebbero comportate le forze dell’ordine nell’applicazione delle norme in Lombardia: seguendo le restrizioni stabilite dall’ordinanza regionale o quelle del decreto di Conte? Ma alla domanda su quali fossero, nello specifico, queste differenze da “interpretare”, il governatore non avrebbe risposto.
A confrontare i due testi in effetti non si ravvisa tutta questa urgenza di una battaglia tra Stato e Regione, specie in un momento così drammatico. Anche gli interventi più restrittivi dell’ordinanza di Fontana – sul blocco dei cantieri e la chiusura delle attività professionali – sono mitigati da eccezioni significative. Non si fermano, ad esempio, i professionisti impegnati in “servizi indifferibili e urgenti o sottoposti a termini di scadenza”. E persino le restrizioni dell’ordinanza lombarda alle attività produttive sono introdotte dalla preposizione “si raccomanda che”. Nessun obbligo e nessun pugno di ferro, ma un cortese invito. Su questo il decreto di Conte è persino più duro.
FONTANA, forse consapevole di aver giocato d’azzardo, nel pomeriggio ha abbandonato i toni salviniani ed è tornato a una dialettica più istituzionale: “Non sono soddisfatto, ma voglio un rapporto positivo con il governo. Esistono dei dubbi, ma se prevale il Dpcm, lo applicheremo”. Al riguardo, nell’esecutivo di dubbi ce ne sono pochi: i pareri legali richiesti rassicurano il governo sul fatto che il decreto assorbe tutte le ordinanze precedenti (i presidenti di Regione hanno, volendo, la facoltà di integrare il Dpcm).
Il vero problema è politico. Fontana oscilla tremendamente. Sembra scisso tra la responsabilità immane di guidare una Regione piegata dal Coronavirus e la sensibilità tutta politica del dirigente di partito (leghista). Fontana è uomo di lotta nazionale e di governo regionale. Una fonte dell’esecutivo lo descrive così: molto docile quando si tratta di collaborare sull’emergenza e molto incendiario quando comunica all’esterno. Quasi come fosse ispirato da Salvini.
A FONTANA, d’altra parte, non si può non riconoscere di governare la frontiera d’Italia, la regione travolta dall’e p i d emia. Dalla sua posizione è arrivato forse in anticipo a comprendere l’entità del disastro: anche per questo gli va dato atto di essere stato il primo a insistere per le misure più radicali e per il blocco totale delle attività produttive. Ma pure in questo contesto, le sue stoccate sopra le righe contro il governo sono state quotidiane quasi quanto il bollettino della Protezione Civile.
Il 25 febbraio, nel primo periodo del dramma Covid in Italia, forse per liberarsi dalla responsabilità di guidare la Regione focolaio, già attaccava Conte: “Purtroppo abbiamo seguito i protocolli del governo”. Due giorni dopo Fontana gira il famigerato video della mascherina, in cui annuncia col volto coperto l’ingresso in quarantena. Il 3 marzo smonta le prime misure di Conte: “Non posso non evidenziare che la bozza del decreto del presidente del Consiglio è a dir poco pasticciata”. Dopo il Dpcm dell’11 marzo insiste: “Si poteva fare di più”. Il 15 marzo: “Credo che a Roma ci sia una percezione sbagliatissima, la Lombardia è al limite”. Il 19 marzo, dopo il decreto “Cura Italia” è lapidario: “25 miliardi? Sono pannicelli caldi”. Poi l’ultima polemica: “Ho ancora una volta rappresentato al presidente del Consiglio la situazione sempre più grave che sta vivendo la Lombardia. Bisogna agire, chiudere cantieri e attività”. Quando Conte l’ha fatto, non andava più bene: conta solo l’ordinanza di Fontana.
IERI L’ULTIMA RETROMARCIA
Non sono soddisfatto, ma voglio un rapporto positivo con il governo Esistono dei dubbi, ma se prevale il Dpcm, lo applicheremo