LA VERA CURA: ESSERE PRONTI PER IL FUTURO
ERRORE/1 La segmentazione della sanità pubblica per regioni rende difficile uno sguardo d’insieme ERRORI/2 Negli ultimi cinque anni siamo stati così intelligenti in Italia da sopprimere 758 reparti ospedalieri L’ESEMPIO Quello che sapremo fare potrà essere per gli altri un modello da seguire oppure da evitare
Il caso Italia fa scuola nel mondo. Il New England Journal of Medicine ha riconosciuto l’opportunità delle misure di contenimento del contagio, ma ne ha anche indicato i limiti: “Il sistema sanitario italiano è degno del massimo rispetto, e ha 3,2 letti per 1.000 abitanti (negli Usa solo 2,8), eppure è impossibile rispondere simultaneamente ai bisogni di tanti malati”. Mentre il contagio avanza in Europa e nelle Americhe, si fanno sempre più frequenti nel mondo i commenti sulla situazione italiana. Forse per condivisione di cultura e tenore di vita analoghi (e in Europa certo per prossimità geografica), l’Italia appare in genere, rispetto a Cina o Corea, un ‘caso’ da guardare con particolare attenzione.
Il che accresce enormemente la nostra responsabilità: quel che sapremo fare potrà essere per gli altri un modello da seguire o da evitare? Cresce, anche, la simpatia per un’Italia che prova a resistere anche cantando dai balconi (“guardando queste scene, diventiamo tutti quasi italiani”, ha scritto un giornale francese), e certo l’apparente tenuta sociale (finora) è un buon segno. Ma non basta.
Se vogliamo servire di modello (positivo) per l’esperienza dei Paesi dove la diffusione del contagio è “indietro” rispetto a noi, o almeno alla Lombardia, le cose da fare con massima urgenza sono di tre tipi: le misure di contenimento del contagio, la diagnosi e cura dei malati, l’analisi delle cause e dei dati. Sul primo punto si sta facendo molto (troppo per alcuni, troppo poco per altri), ed è su questo che si concentra quasi tutta la discussione pubblica, fra governo e Regioni ma anche nei media. Ma gli altri due punti non sono meno importanti.
Che sia difficile se non impossibile curare tutti i malati mentre il loro numero cresce si sa, tanto è vero che si è anche proposto di porre un limite di età, rifiutando le cure ai più anziani. Senza tornare sui problemi etici e legali che ne conseguono (come ho scritto in queste pagine l’11 marzo), è ovvio che alla mancanza di letti e strumentazione medica si sopperisce creando con massima urgenza strutture temporanee, e infatti lo si sta facendo in molte città o regioni. Ma con quali criteri, con quale rapidità ed efficienza, con quali risultati? La segmentazione della sanità pubblica per regioni rende difficile mettere a punto e rendere pubblico uno sguardo d’insieme, che però è in questo momento più che mai necessario. Tanto più che il potenziamento delle strutture richiede anche l’assunzione di personale medico e sanitario, giacché negli ultimi 5 anni siamo stati così intelligenti da sopprimere 758 reparti in tutta Italia (inclusi quelli di Terapia intensiva). Mancano almeno 56.000 medici e quasi altrettanti infermieri (5,6 ogni 1000 abitanti rispetto a 12,6 in Germania), e per essere alla pari con la media europea mancano all’appello 10 miliardi l’anno: frutto dei tagli operati senza molto cervello da governi d’ogni colore e d’ogni fatta. Se questa è la situazione, non sarebbe il caso di creare a Palazzo Chigi un’apposita task force che, con la cooperazione di tutte le Regioni, consenta un rapido censimento della situazione, dei bisogni, dei provvedimenti in corso e di quelli che sarebbero necessari? Senza una mappa come questa, a che cosa ci serve la flessibilità di bilancio ormai consentita anche dalle istituzioni europee?
Siamo così già entrati nel cuore del terzo punto: l’analisi delle cause e dei dati. Le cifre che ho dato sopra (prendendole dall’Espresso) sono quelle giuste o no? Potremmo avere, di grazia, un’informazione ufficiale, garantita a livello nazionale, su quali e quanti e dove e quando sono stati i tagli di bilancio, e con quali conseguenze in un’emergenza come questa? E siccome nulla ci dice che non debba ripetersi qualcosa di simile nei prossimi anni, potremmo venire a sapere in che misura strutture temporanee organizzate oggi in fretta e furia dovrebbero invece essere permanenti? Decisioni come queste verranno prese sulla base del piccolo cabotaggio di micro-negoziati fra Stato e Regioni, o si vorrà costruire un grande piano nazionale? Rendendo pubbliche analisi come queste il governo darebbe una prova di trasparenza e di coraggio, buona anche a bilanciare la limitazione delle libertà personali che l’emergenza rende necessaria.
Non mancano altri dati che sarebbero da analizzare: per esempio, il confronto fra le metodologie di diagnosi e le loro conseguenze statistiche. È ovvio che da prassi diverse vengon fuori risultati diversi, e dunque misure diverse per il contenimento e la cura. Non saremmo noi in Italia nella posizione ideale per mettere a rigoroso confronto i criteri usati nei diversi Paesi, in Europa e non solo? Non dovremmo, con analisi statistiche e matematiche sofisticate ma non impossibili, smontare le tattiche di contenimento (non del virus, dei dati), tentate da Johnson con la sua stolta “immunità di gregge” o da Trump con la sua delirante xenofobia? Per citare un ultimo ambito: quanta confusione si sta facendo sulla convergenza del Covid-19 con l’inquinamento atmosferico e con il cambiamento climatico! Non sarebbe possibile analizzare con rigore scientifico il nesso (se uno ce n’è) fra produzione del cibo, estesa deforestazione, allevamenti intensivi di animali e diffusione di questa e altre epidemie? Lo ha suggerito uno scienziato italiano di prima forza che insegna all’Imperial College di Londra, Paolo Vineis: “Le emergenze, a cominciare da quelle sul clima, vanno previste e prevenute con molto anticipo. La cultura del rischio dovrebbe essere inclusa nella progettazione tecnologica anche per le pratiche agricole e urbanistiche”.
Contenere il contagio limitando la libertà di movimento non basta. Occorre curare al meglio il più gran numero possibile di malati (anzi tutti), e cominciare da subito un’ampia riflessione sugli errori del passato e su qualche prospettiva per il futuro. Un futuro che avremmo dovuto prevedere già ieri, e dunque è già tardi se comincia oggi stesso. Per condurre analisi come queste ci sono in Italia e fuori ottimi ricercatori, anche se la nostra spesa in ricerca è scandalosamente bassa: non sarebbe questa, per esempio per il Cnr o per le Università, una straordinaria occasione per costruire, auspicabilmente in sintonia con chi ci governa, un vero, esemplare laboratorio di pensiero? È difficile non condividere la conclusione dell’articolo di Lisa Rosenbaum nel New England Journal of Medicine citato all’inizio: “La tragedia vissuta dall’Italia rafforza la saggezza di molti esperti della sanità pubblica: il miglior esito di questa pandemia sarebbe se nel futuro fossimo accusati di aver esagerato nell’esser preparati”.