Addio Gallico, salutaci Asterix&Obelix
ALBERT UDERZO È morto a 92 anni il fumettista francese
“Quanno
voi stavate ancora a beve l’acqua de le po zza ng her e, noi già eravamo froci”. Con questa scorrettissima battuta, un comico romano in un colpo solo fece sobbalzare sulle poltrone il pubblico celtico (o tale autodefinitosi in tempi di leghismo rampante) e gli omosessuali presenti in sala, almeno quelli che non avevano capito che erano stati citati a modello di civiltà.
“Quanno voi stavate ancora a beve l’acqua de le pozzanghere, noi già eravamo froci”. Con questa scorrettissima battuta, un comico romano in un colpo solo fece sobbalzare sulle poltrone il pubblico celtico (o tale autodefinitosi in tempi di leghismo rampante) e gli omosessuali presenti in sala, almeno quelli che non avevano capito che erano stati citati a modello di civiltà. I detrattori della saga di Asterix, opera trionfale del duo Goscinny- Uderzo sostengono che dietro l’incredibile successo in patria di Asterix e Obelix (lodati pubblicamente perfino da De Gaulle) vi sia proprio il complesso mai rimosso “dei bevitori di acqua di pozzanghere” arrivati in imbarazzante ritardo rispetto a una civiltà già secolare che ci mise poco a sottometterli e a mostrargli come si costruivano gli acquedotti.
INUTILE GIRARCI intorno per evitare incidenti diplomatici: i Romani coglionazzi che Obelix frantuma a ritmi industriali, anzi a legioni intere, mentre il suo astuto amico Asterix (diciamocelo, antipatico come Topolino) escogita mille efficaci sistemi per ridicolizzare regolarmente un
Cesare vanesio, imbellettato e puzzalnaso, sono stati la rivalsa collettiva e planetaria (350.000.000 di copie vendute) dei cugini d’Oltralpe nei confronti della Storia, che all’epoca fu molto poco benigna nei loro confronti. Asterix e Obelix come vendicatori molto postumi di Vercingetorige, che Cesare quello vero, poco imbellettato e molto carogna, non trattò benissimo (anche se in un caso la popolarità della saga degli abitanti dell’Armorica gli si ritorse contro, agli eredi dei gloriosi Galli, che a ben vedere il culo ai Romani glielo avevano fatto eccome, arrivando, in altri secoli, a scalare il Campidoglio, senza prevedere però la presenza di oche patriottiche starnazzanti: fu dopo la finale mondiale Italia-Francia del 2006, “Salutatece Asterix” infestava i post dei social, e non erano tutti post romani). Eppure. Eppure in quelle pagine colorate fitte c’era davvero qualcosa di magico, di irresistibile, che ti catturava e ti costringeva a leggerle tutte d’un fiato, scrutando quel disegno denso fino all’ultimo, sorprendente particolare. Sì, le storie erano un po’ old-fashioned (in fondo erano sceneggiature scritte da qualcuno nato nel 1927) e facevano furbamente uso e abuso di vecchi stereotipi comprensibili alle masse (gli Elvezi con le clessidre che non sgarravano un secondo, gli Iberici che ballavano sempre e dicevano Olé, i Romani, manco a dirlo, pigri e scansafatiche, i Germani che pensavano solo alla guerra). Ma i disegni erano spettacolari, ci si fermava a guardarli, riguardarli, tornare indietro e riguardarli ancora e chi se ne frega delle rivalse psicanalitiche nazionaliste o di qualche déjà vu letterario di troppo. C’era l’Arte con la A maiuscola, in quei libri, quella che ti incanta, che ti rende felice di essere nato nel tempo giusto per goderne. Non sto esagerando, a me il Bello Assoluto fa quest’effetto. Quell’Arte superba si chiamava Uderzo, con l’accento sulla “o”. La sua ripartizione degli spazi era meravigliosa, come esatti al millimetro erano proporzioni e studi dei personaggi e della paesaggistica. Magistrale l’uso del colore e lettering perfettamente armonizzato col mood ambientale della pagina. Stupefacente per il me di allora, quando, liceale, mi abbeveravo alle storie di Asterix, con piacere schizofrenico (Romani ridicolizzati, orgoglio ferito; vendetta sul De Bello Gallico, tortura scolastica quotidiana, soddisfazione massima!). Stupefacente per il me di adesso, che col mestiere che faccio da un po’ ho imparato ad apprezzare dal “reparto sartoria” certe spettacolarità, certe invenzioni grafiche impossibili se non sei un Maestro di quelli che passano alla Storia, come anche Benito Jacovitti, come Andrea Pazienza. Un vero, grande Maestro, Albert Uderzo. Se n’è andato, può succedere, a 92 anni. Ci lascia con un po’ di tristezza inevitabile di fronte all’indifferenza di Madre Natura nei confronti della Grande Arte, ma anche con due soddisfazioni: non ce l’ha portato via il coronavirus, cui va il nostro più sentito vaffanculo e, be’… che i francesi non si incazzino, e le balle non gli girino… ma Uderzo era italiano, figlio di italiani, senza accento sulla “o”.
C’era l’Arte con la A maiuscola, in quei libri, quella che ti incanta, che ti rende felice di essere nato nel tempo giusto per goderne Il Bello Assoluto fa quest’effetto